Parto con una stanchezza fisica e mentale superiore a quella degli altri viaggi. Sicuramente di natura diversa.
Credo non sia un caso che proprio quest’anno la scelta sia caduta su una meta spirituale e incontaminata (anche se l’approccio zen degli ultimi mesi temo mi stia facendo più male che bene; le cure universali non esistono e per me evidentemente è terapeutico incazzarmi, urlare, non far finta di nulla se molto c’è).
C’è bisogno di disintossicarsi un pò. Da dinamiche esasperanti, persone nocive, conti che non tornano, mal di stomaco decisamente psicosomatici.
E così, mentre riempio le valigie un oggetto alla volta, mi sembra che il peso diminuisca invece di aumentare.
Che quel carico che ho sulle spalle non mi ci sta in valigia. E non me ne dispiaccio.
Compongo capo dopo capo bagagli mastodontici, come da prassi.
Già traboccanti eppure pronti a riempirsi di ricordi.
Di certo, non di statuette segnatempo che cambiano colore con l’umidità, nè di agghiaccianti borse di tela fluo con la scritta I love Bali.
Vado a fare il pieno di sguardi profondi, profumi esotici e gentilezza.
Di cognizione del tempo persa e senso del dovere (il mio) al suo minimo storico.
I souvenir che preferisco si conservano nel cuore, non sulle mensole. Nè tantomeno diventano demodè la stagione successiva.
Ovvio che qualche accessorio e un paio di tessuti giusti comunque ci staranno, ben stipati negli angolini del bagaglio. A rimediare un pò alla mia clamorosa disfatta nei confronti dei saldi, che quest’anno avevo disamore perfino nel provare vestiti, tanto ero concentrata nel farlo con i sentimenti.
E per ironia della sorte entrambi, spesso, non mi cadono come vorrei.
Da ultimo, prima di chiudere il lucchetto, metto in valigia anche la consapevolezza che mi potrebbe capitare, di nuovo, di tornare da un viaggio talmente entusiasmante da instillarmi il pensiero che nessun altro potrà mai esserne all’altezza.
Quel tipo di soddisfazione un pò nostalgica che ti coglie quando ti rendi conto di aver divorato per primo il boccone più buono di tutto il piatto.
Ma la ricchezza di un mondo così meravigliosamente vario è che ogni centimetro calpestato sa essere diverso dall’altro, irrimediabilmente impareggiabile e straordinariamente unico.
Sa parlarmi in una lingua mai udita eppure tanto famigliare.
Sa appiccicarmi un nuovo, patinato, prezioso visto. Non sul passaporto, ma sul cuore.
Come con l’album di figurine dei calciatori, su cui con quel tipo di soddisfazione, pensavo sempre di aver attaccato l’ultima. Per poi scoprire che mancavano le più belle: le edizioni limitate.
Ingredienti
per due persone affamate
200 gr spaghettoni
300 gr canestrelli
vino bianco qb
aglio
sale
pepe
peperoncino frantumato
olio EVO
Lessare la pasta in abbondante acqua salata.
In una wok far rosolare uno spicchio d’aglio in un paio di cucchiai d’olio, eliminarlo e abbassare il fuoco. Aggiungere i canestrelli, peparli e cuocerli velocemente, sfumando con il vino bianco e alzando la fiamma per far evaporare. Come per tutti i frutti di mare, è consigliata una cottura di pochi minuti.
Scolare direttamente nella wok la pasta, ancora ben al dente, usando una pinza per spaghetti e completare la cottura un minuto in padella in modo che si insaporisca bene.
Completare con un paio di cucchiai d’olio a crudo e una spolverata di peperoncino.
Mescolare bene e servire calda.