Cannella e Confetti

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Polpette di sgombro e ricotta, al sugo di pomodoro

by 28 Comments

A chi non è capitato di aprire la porta di casa, la sera, con la sola voglia di sprofondare tra le coperte senza nemmeno passare dalla cucina?
“Ho avuto una pessima giornata“. Quante volte, messo piede tra le mura domestiche, lo diciamo a voce alta?
In cerca di comprensione, come lamento, per sfogo.
Quante volte la giornata è stata davvero pessima? Sappiamo realmente cosa significa?
Il lavoro che ci vessa, il dentista, le bollette, la coda in autostrada.
La discussione con la migliore amica, il kg in più sulla bilancia, la telefonata che non arriva.
Non lo puoi neanche lontanamente immaginare.
Non sai minimamente come può essere una giornata, quando è pessima.
Sotto quale treno finirai. Quanta fatica ti costerà respirare ancora.

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Ingredienti
per le polpette
250 gr ricotta sgocciolata
195 gr sgombro affumicato (3 scatole da 65 gr l’una)
un uovo
4 cucchiai di pangrattato
sale e pepe qb
per il sugo
400 gr polpa di pomodoro
una cipolla bianca
olio EVO
sale qb
peperoncino (facoltativo)

Lasciar sgocciolare la ricotta in una ciotola, rovesciata su dei fogli di carta assorbente da cucina.
Scolare accuratamente lo sgombro dal suo olio di conservazione, poi schiacciarlo bene con una forchetta. Mischiarlo alla ricotta, aggiugere l’uovo e il pangrattato (a seconda dell’umidità della ricotta utilizzata potrebbe servirne di più o di meno, regolatevi in base alla consistenza che assumerà il composto). Salare e pepare.
Nel frattempo far imbiondire la cipolla, tagliata sottilissima, in un pentolino con l’olio caldo, a fuoco moderato. Aggiungere polpa di pomodoro, mezzo bicchiere d’acqua, sale e peperoncino, se lo gradite.
Lasciar cuocere una ventina di minuti.
Formare tante polpette grandi come noci e disporle su un foglio di carta da forno.
Porle delicatamente nel sugo e lasciarle cuocere 10/15 minuti, avendo cura di non schiacciarle troppo e voltandole con delicatezza. Servire calde.
Perfette se accompagnate da una polentina morbida o del purè.

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Filetto di salmone ripieno, con pistacchi e robiola

by 62 Comments

Quando il presente non va, i ricordi diventano ancore.
Trattengono il tuo corpo traballante, in totale balia dei flutti.
Si ondeggia eccome, ma non ci si rovescia.

Anche ai più forti di stomaco le maree possono fare parecchio male.
Il mal di mare, quando fa burrasca, si porta via brandelli di te, onda dopo onda.
Ti sfibra, ti sfianca.
Lo stomaco si attorciglia e non ha tregua.
Sei costretto a startene lì, ormeggiato al tuo romanzo.
Aggrappato con le unghie al porto della memoria, perso tra la dolcezza e la nausea.
Con il mare grosso l’onda non ti culla, ti scuote.
Gli schizzi non ti rinfrescano, ti annegano.
E arrivi a pensare che davvero non sai se sarebbe meglio abbandonarsi e ribaltarsi come una tartaruga sul guscio, nel mezzo della marea.
Non sai se tutta quella furia andrebbe semplicemente assecondata.
Non sai se l’ancora ti salva oppure ti trascina giù con sè.

Avresti bisogno di mettere i piedi a terra, almeno per un pò.
Inspirare profondamente, fare il pieno di aria fresca che vada a lenirti, lieve, il ventre esausto.
Ma per riprendere fiato ora devi recuperare il doppio dei respiri che ti hanno strappato.
E sai che quell’ossigeno è possibile trovarlo soltanto nel presente che verrà. Quando verrà.

FIletto di salmone ai pistacchi

Ingredienti
per due persone
due filetti di salmone alti 3-4 cm
50 gr pistacchi sgusciati non salati
50 gr robiola fresca
scorza di un limone bio
pangrattato
sale e pepe
olio EVO

Pulire il filetto eliminando le parti laterali (generalmente più grasse e più sottili) e rimuovendo le lische centrali con l’aiuto di una pinzetta.
Ridurre i pistacchi in pezzetti: io non li ho tritati perchè non volevo ottenere una granella omogenea ma diverse consistenze; se preferite potete usare semplicemente il mixer, procedendo a piccoli scatti in modo che l’olio della frutta secca non renda il tutto una pasta.
Mescolare la robiola con del pepe macinato e scorza di limone grattuggiata a piacere (fate attenzione a ricavarne solo la parte gialla).
Tagliare il filetto a libro e farcirlo: spalmare nel mezzo la robiola, spargervi sopra i pistacchi frantumati e un pizzico di sale.
Richiuderlo e ungerne leggermente la superficie con olio EVO, aiutandosi con un pennellino o con le dita.
Cospargere con poco pangrattato e altri pistacchi.
Cuocere in forno statico a 180° per 20 minuti.

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Noodles di grano speziati con gamberoni e verdure

by 40 Comments

Il cambio degli armadi, l’organizzazione meticolosa del faldone delle bollette, l’inventario dello scaffale dei medicinali. E tutto questo senza i topini di Cenerentola in aiuto.
Ammettiamolo, compiti del genere attentano alla gioia di vivere, ma c’è di buono che li puoi alleggerire con il giusto sottofondo musicale e compiere, tutto sommato, con il pilota automatico inserito (che poi salti fuori, disinvoltamente sgargiante, un bikini dal plico delle sciarpe a dicembre, regalandoti un giro sulla giostra della nostalgia, è un’altra storia).
Mettere ordine tra pensieri ed emozioni, quella è operazione decisamente più complessa. Ho bisogno di qualche giorno in più per sistematizzare ricordi, editare fotografie che non ne avrebbero affatto bisogno e poter raccontare di quello che senza dubbio è stato uno dei viaggi più intensi e formativi che abbia mai compiuto.
Mi crogiolo tra lo stordito e il sognante, come svegliata da un lungo sonno di domenica mattina, in un inizio settembre che profuma di dejavù.
Mi rivedo nella scimmietta che, sciantosa fin da piccola, rimirava allo specchio i grembiulini nuovi per la scuola, certa che bianchi così non lo sarebbero stati più.
E, pure un bel pò maschiaccio, insisteva ad arpionare con un bastone più pesante di lei i fichi sul gigantesco albero in cortile dai nonni, facendone spiaccicare a terra la metà.
Inspiro il profumo di erba bagnata di quel primo giorno di Università sotto al diluvio e del bicchiere di bianco bevuto all’aperitivo. Il piccolo bar anni ’50 che, ospitando le prime sgangherate chiacchiere tra compagni in un inglese mechato dalle diverse madrelingue, si trasforma in un’alcolica e profana torre di Babele.
Tendo l’orecchio e sento i passi che ho percorso tremante sulla navata (teneramente illusa ignoravo che quelli più importanti li avrei compiuti tempo dopo e non da sola), seguiti da due sì che rieccheggiano commossi.
Sfoglio la vita con calma, assorbita in vecchi capitoli. E nel frattempo intravedo già, attraverso la filigrana, le righe della pagina successiva. Vibranti e sull’attenti, pronte a raccontare sempre un’altra storia.

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Ingredienti:
200 gr di noodles di grano
400 gr gamberoni
una zucchina grande
un peperone rosso
due carote
cipollotto fresco
peperoncino
paprika
salsa di soia
olio di semi
sale

Lessare i noodles in acqua bollente.
Tagliare le verdure a striscioline, cuocerle in una wok molto calda con poco olio di semi e il cipollotto tagliato sottile, mescolando continuamente a fuoco sostenuto (devono rimanere piuttosto compatte, basteranno pochi minuti).
Sgusciare i gamberoni e con l’aiuto di un coltellino incidere il dorso e sfilare il filamento nero dell’intestino.
Aggiungere i gamberoni nella wok insieme alle verdure. Spolverare con paprika e peperoncino, versare la salsa di soia e cuocere un paio di minuti.
Scolare i noodle direttamente nella wok, aggiustare di salsa di soia e far amalgamare bene il tutto per un minuto su fuoco medio.
Servire caldi.

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Spaghettoni A.O.P. con i canestrelli

by 30 Comments

Parto con una stanchezza fisica e mentale superiore a quella degli altri viaggi. Sicuramente di natura diversa.
Credo non sia un caso che proprio quest’anno la scelta sia caduta su una meta spirituale e incontaminata (anche se l’approccio zen degli ultimi mesi temo mi stia facendo più male che bene; le cure universali non esistono e per me evidentemente è terapeutico incazzarmi, urlare, non far finta di nulla se molto c’è).
C’è bisogno di disintossicarsi un pò. Da dinamiche esasperanti, persone nocive, conti che non tornano, mal di stomaco decisamente psicosomatici.

E così, mentre riempio le valigie un oggetto alla volta, mi sembra che il peso diminuisca invece di aumentare.
Che quel carico che ho sulle spalle non mi ci sta in valigia. E non me ne dispiaccio.
Compongo capo dopo capo bagagli mastodontici, come da prassi.
Già traboccanti eppure pronti a riempirsi di ricordi.
Di certo, non di statuette segnatempo che cambiano colore con l’umidità, nè di agghiaccianti borse di tela fluo con la scritta I love Bali.
Vado a fare il pieno di sguardi profondi, profumi esotici e gentilezza.
Di cognizione del tempo persa e senso del dovere (il mio) al suo minimo storico.
I souvenir che preferisco si conservano nel cuore, non sulle mensole. Nè tantomeno diventano demodè la stagione successiva.
Ovvio che qualche accessorio e un paio di tessuti giusti comunque ci staranno, ben stipati negli angolini del bagaglio. A rimediare un pò alla mia clamorosa disfatta nei confronti dei saldi, che quest’anno avevo disamore perfino nel provare vestiti, tanto ero concentrata nel farlo con i sentimenti.
E per ironia della sorte entrambi, spesso, non mi cadono come vorrei.

Da ultimo, prima di chiudere il lucchetto, metto in valigia anche la consapevolezza che mi potrebbe capitare, di nuovo, di tornare da un viaggio talmente entusiasmante da instillarmi il pensiero che nessun altro potrà mai esserne all’altezza.
Quel tipo di soddisfazione un pò nostalgica che ti coglie quando ti rendi conto di aver divorato per primo il boccone più buono di tutto il piatto.
Ma la ricchezza di un mondo così meravigliosamente vario è che ogni centimetro calpestato sa essere diverso dall’altro, irrimediabilmente impareggiabile e straordinariamente unico.
Sa parlarmi in una lingua mai udita eppure tanto famigliare.
Sa appiccicarmi un nuovo, patinato, prezioso visto. Non sul passaporto, ma sul cuore.
Come con l’album di figurine dei calciatori, su cui con quel tipo di soddisfazione, pensavo sempre di aver attaccato l’ultima. Per poi scoprire che mancavano le più belle: le edizioni limitate.

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Ingredienti
per due persone affamate
200 gr spaghettoni
300 gr canestrelli
vino bianco qb
aglio
sale
pepe
peperoncino frantumato
olio EVO

Lessare la pasta in abbondante acqua salata.
In una wok far rosolare uno spicchio d’aglio in un paio di cucchiai d’olio, eliminarlo e abbassare il fuoco. Aggiungere i canestrelli, peparli e cuocerli velocemente, sfumando con il vino bianco e alzando la fiamma per far evaporare. Come per tutti i frutti di mare, è consigliata una cottura di pochi minuti.
Scolare direttamente nella wok la pasta, ancora ben al dente, usando una pinza per spaghetti e completare la cottura un minuto in padella in modo che si insaporisca bene.
Completare con un paio di cucchiai d’olio a crudo e una spolverata di peperoncino.
Mescolare bene e servire calda.

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Polipo e verdure croccanti su crema di patate al peperoncino

by 52 Comments

Come sempre, prima della ricetta divago.
Se siete venuti soltanto per il polipo, di cui vi do un’anteprima, scorrete un pò più in giù.

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Non lo sentiranno, ma farà caldo. Parecchio caldo, quegli onesti 38 gradi.
Ma sono psicologicamente pronta a sopportarli.
E sono tremendamente pronta ad emozionarmi per loro e con loro.
Per un legame che ho visto sbocciare, crescere, splendere. Una storia che ora compie un passo importante.
Per due amici che ci hanno voluti presenti, nel giorno più bello della loro vita. E continuo a pensare che un invito del genere sia un attestato di affetto profondo e sincero, di cui essere grati con il cuore.
Sto facendo training autogeno per riuscire a non commuovermi quando gli leggerò le parole di augurio che mi hanno teneramente affidato, le prime di nuova vita insieme.
Ci proverò, farò del mio massimo davvero. Ma non prometto di riuscirci.
Già di mio ho un’indiscriminata lacrima facile, e questo è noto. In più per i matrimoni vado in totale brodo di giuggiole, perdendo di buon grado ogni dignità.
Io, che passo ancora le ore girovagando on line tra le ultime collezioni di vestiti da sposa, anche se il mio abito bianco l’ho indossato ormai ben sei anni fa. E durante le celebrazioni mi si rigano matematicamente le guance allo scambio delle promesse (e anche in numerosi altri passaggi della cerimonia, vabbè).
All’ingresso della sposa, io fisso lui. Torno con la mente a chi mi aveva detto: “quando entrerai in chiesa, l’unica cosa da fare per mantenere la calma è NON guardare Fabio. Se lo fai è la fine.”
E invece proprio quello ho voluto fare, al primo passo posato sul tappeto rosso. Felice di non aver ascoltato un consiglio, tanto per cambiare.
Perché quel giorno ero lì per lui e nessun altro, e quell’espressione in volto, così contrita dall’emozione, non so se gliela rivedrò mai. E allora l’ho fermata.
Me la tengo nel cuore, ancora attuale, viva e completa di ogni dettaglio.
Non potevo ricevere regalo più prezioso di quegli occhi pieni di brivido.
Uno sguardo attraverso il quale auguro a Simone e Mari di guardare tutte le prime esperienze da marito e moglie. E quelle successive, le più quotidiane.
Perchè quel pathos profondo, quel palpito tra loro saprà rendere speciale ogni sfumatura di una nuova, meravigliosa, vita a due.
Oltre ogni torto e ragione, oltre ogni difficoltà o errore.
Vogliatevi bene, ma bene di brutto, ragazzi.

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Ingredienti
antipasto per 4, piatto unico per 2 persone
400 gr polipo
una patata grande
una zucchina
una carota
latte qb
peperoncino
olio EVO, sale e pepe
foglie di rosmarino

Lessare il polipo (il mio era congelato), scolarlo, lasciarlo raffreddare leggermente e tagliarlo a bocconcini.
Cuocere a vapore la patata a pezzetti (per me 5 minuti nel microonde), farla intiepidire poi frullarla con sale, pepe e peperoncino a piacere. Aggiungere mano a mano il latte, continuando a frullare, fino a ottenere una crema piuttosto consistente.
Tagliare la zucchina e la carota a striscioline di circa 5 centimetri, spadellarle velocemente in una wok caldissima con solo un filo d’olio e sale.
Passare il polipo a pezzetti nella stessa padella leggermente unta, salarlo e peparlo. Tenerlo da parte e farlo intiepidire. Nel frattempo comporre il piatto.
Adagiare sulla base del piatto un paio di cucchiai di crema di patate, qualche striscia di zucchine e carote, i tocchetti di polipo e ancora qualche verdura.
Completare con un giro d’olio e un rametto di rosmarino in superficie.

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Salmone al pepe e lime con carote arrosto al rosmarino

by 24 Comments

Quante volte siamo capaci di innamorarci in una vita sola?
Non parlo (solo) di occhi magnetici e parole dolci capaci di farti perdere la ragione e il sonno.
Nemmeno delle benedette rinascite che seguono – prima o poi – le delusioni di cuore.
Che tutte siamo incappate in un bastardo una volta nella vita, o peggio siamo state annientate da un amore che sembrava incantevole e perfetto ma se n’è fregato della sua magia; lui proprio non ha voluto funzionare, senza che la colpa fosse in fondo di nessuno.
Innamorarsi è cedere al fascino che ha l’emozione di una giornata qualunque.
Riconoscere i tuoi gesti in quelli di tua madre, le tue premure per lei in quelle che lei stessa riserva alla sua.
Concentrarti su un particolare che rende le stanze che abiti ogni giorno casa tua.
La forma delle Sue orecchie che conosci bene da poterla disegnare, il Suo timbro di voce la sera quando ha sonno. Il modo che avete di tenervi per mano anche in macchina.
Un medico che finalmente capisce come stai. Non tanto che cos’hai, che la diagnosi è poi semplice, ma come ti senti. Quello vale parecchio di più.
Tu in cucina la domenica a fare colazione, quando tutto intorno è luce, e silenzio, e bene. E tra i biscotti della scatola di latta che ti tende papà si materializza la pace ingenua di quando eri bambina.
Quel fiore fuxia che cresce tra le sterpaglie nel campo vicino casa, le more al sapore di asfalto e nafta vicino alla fermata della metro. Ogni mattina passando ti stupisci di trovarle ancora lì, vigorose ed eroiche.
L’abbraccio a tua sorella appena sveglia, che ti riporta a quando avevi meno kg e meno anni.
Un cielo un pò più azzurro del solito, che forse sei semplicemente più celeste tu.

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Ingredienti:
2 tranci di filetto di salmone
due lime
sale rosa
pepe multibacca
6 carote medio-piccole
olio EVO
rosmarino fresco

Rimuovere le squame dalla pelle del filetto ed eliminare il più possibile le spine con l’aiuto di una pinzetta.
Irrorare con il succo di un lime spremuto direttamente sul pesce, pepare generosamente e lasciar marinare una decina di minuti.
Salare e disporre il lime tagliato a fettine sulla superficie dei filetti; riporre in una teglia rivestita di carta da forno e cuocere a 200 gradi per 25 minuti.
Pelare interamente le carote e cuocerle a vapore (io in microonde per una decina di minuti).
Spennellarle con olio EVO e disporle in fila in una teglia; distibuirvi sale grosso e rosmarino a piacere ed infornare insieme al salmone.

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Turbanti di sogliola ripieni di porri e mandorle

by 38 Comments

La frenesia da collezione: una specie di eccitamento sensoriale, la venerazione simil religiosa di classi di oggetti – generalmente inutili o in disuso – che ci spinge ad accumularne senza freno per stiparli a casaccio o disposti ordinatamente su mensole e scaffali.
Diciamolo, prima o poi ci siamo caduti tutti. E non parlo di baci rubati, amori sbagliati, delusioni, due di picche e gaffes, che sfido a trovare qualcuno che non ne abbia pieni i cassetti della memoria.
Alle elementari, se non collezionavi qualcosa eri uno sfigato.
Almeno le sorpresine dell’uovo Kinder, che infatti nel mio caso hanno aperto le danze: ma per essere preso in considerazione, minimo minimo, dovevi averne una trentina.

Ci ho provato eh, ad affezionarmi a qualcosa che avesse un pò più di spessore: il papà della mia tata, con la passione per la numismatica, mi aveva regalato un meraviglioso raccoglitore per le monete.
Era rosso, di pelle e rappresentava una sorta di reliquia per me. Peccato che costanza non sia proprio il mio secondo nome; dopo un primo periodo di dedizione l’ho conservato così, da esposizione.
Sono regredita invece alle schede del telefono, che mi inducevano a setacciare ogni cm delle cabine telefoniche, in perfetto stile accattona (non so come i miei abbiano potuto non ripudiarmi).

Con l’adolesecenza sono poi arrivati i terribili ciucci di plastica, di ogni colore e dimensione, e gli storici profumini, con le loro deliziose micro confezioni, in proporzione dieci volte più care dei classici erogatori.
E ancora spille da paninaro e braccialetti di ogni sorta si accompagnavano ad enfatiche dediche sul diario, TVB impressi a pennarello indelebile sull’Eastpak, mille mila cd masterizzati.

La verità è che io sono per il minimal, detesto l’accumulo e a casa mia sono banditi soprammobili e suppellettili varie. Gli unici a non salvarsi sono i cassetti della mia cucina.
Tra le mie eccezioni più care ci sono le ricette: stampate da internet, qualche ritaglio di giornale, fotocopie delle adorate grafie di mia mamma e perfino di mia nonna.
E poi le migliori, collezioni che non occupano spazio se non nel cuore: ricordi felici e grandi sogni per il domani, sorrisi di bambini e carezze di anziani, gli occhi di mia mamma che mi fanno sentire forte e i Suoi sguardi che mi fanno sentire bella.

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Ingredienti:
sei filetti di sogliola puliti
due porri medi
40 gr mandorle a lamelle
olio EVO
sale affumicato
pepe multibacca

Tagliare finemente i porri, rosolarli in padella con olio EVO, poi abbassare la fiamma, aggiungere un goccio d’acqua e farli stufare. Salarli a fine cottura.
In un pentolino antiaderente molto caldo, senza grassi aggiunti, far tostare le mandorle a lamelle fino a farle colorire.
Salare e pepare i filetti, disporre al centro un pò di porri e qualche lamella di mandorla, poi richiudere l’involtino su di sè e fermarlo con uno stuzzicadenti.
Disporre in una teglia, guarnire la cima di ogni turbante con alcune lamelle aggiuntive e completare con un filo d’olio EVO.
Cuocere in forno a 200° per 20 minuti.

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Piccola catalana di gamberi con cetrioli e mango

by 33 Comments

Sono passati poco più di due anni da quando io e Lui abbiamo cambiato casa.
Ricordo bene gli scatoloni impacchettati poco alla volta, tra uno sbadiglio e un morso fugace alla cena, la sera dopo il lavoro. I tentativi di raggrupparne il contenuto con una certa coerenza, naufragati nel rendermi conto che uno scatolone esclusivamente riempito di libri e guide turistiche avrebbe spezzato la schiena del più pavido volontario. L’uniposca che elencava sul cartone lo sgangherato mix che lo popolava, anche se puntualmente la nota finiva sul lato sbagliato vanificando le mie buone intenzioni di praticità.
Quella nevicata di febbraio, il freddo che pungeva le guance e la fanghiglia che accompagnava ogni passo avanti e indietro per un cortile ancora parecchio “under construction“.
Il microonde arroccato in precario equilibrio su uno scatolone in cameretta, per scaldare la minestra del pranzo durante le due giornate di montaggio mobili: 48 ore passate con la scopa in mano e l’occhio vigile, a sventare danni (non vi spiego i brividi nel fermare il trapano a un dito dal muro, accorgendomi che i comodini stavano per essere fissati al contrario).
Una bella avventura, sicuramente. Però – mi ero detta – prima del prossimo trasloco devono passare minimo dieci anni. E invece eccomi qui, a impacchettare pensieri e speranze, ricette di famiglia ed esperimenti più o meno azzardati, foto sghembe, emozioni scritte in punta di tastiera per non far troppo rumore, che il mio cuore ha il subbuglio facile.
A salutare le pareti che mi hanno accolta quando non sapevo nulla, nemmeno quanto mi sarei fermata. Quante cose non riuscivo ancora a leggere del mondo e dentro me stessa, quanti cuori “vicini di casa” non potevo nemmeno immaginare di incontrare.
Mi trovo a lasciare qualcosa che è stato mio, decisamente lontano dalla perfezione ma di indescrivibile valore perchè costruito a piccoli passi del tutto da me. Che so bene che resterà eternamente speciale e saprà sempre provocarmi un brivido. Come mi accade tutt’oggi passando davanti alla casa in cui sono nata, a Pavia, fissando la finestra in cui mi aspetto di scorgere ancora quella tenda a palloncini che mi proteggeva nella mia cameretta.
A guardare con il cuore in gola e gli occhi che brillano una nuova casa, a immaginarla prendere forma, vestita giorno dopo giorno di nuove sensazioni,  fotogrammi di cucina e di amore, pezzetti di vita.
Io ve la apro subito questa porta, che nella pelle non ci so più stare.
Vi accolgo ancora non del tutto in ordine, come un’ospite in ciabatte, ma con la stanza che profuma di pulito, il mio dolce preferito in forno e un aperitivo leggero sul tavolo.
E la cosa che più mi fa sentire già a casa, è la certezza che voi mi accettate anche così.

Piccola catalana di gamberi con cetrioli e mango

Ingredienti:
400 gr gamberi
5 piccoli pomodori sardi
mezzo cetriolo
qualche spicchio di mango
olio EVO
sale rosa
pepe multibacca

Lessare i gamberi, puliti e sgusciati, per pochi minuti in acqua bollente.
Lavare i pomodori, privarli dei semi e tagliarli a piccoli cubetti lasciandoli scolare su un paio di fogli di carta assorbente.
Tagliare a cubetti anche il cetriolo, eliminando la striscia centrale di semi e il mango sbucciato.
Unire le verdure ai gamberi, condire con olio, sale e pepe. A piacere aggiungere un paio di foglie di menta per profumare.
Riporre in frigorifero almeno mezz’ora, perchè il tutto si insaporisca. Prima di servire, lasciar riposare 5-10 minuti a temperatura ambiente, poi versare in bicchieri o coppette di vetro, guarnendo eventualmente con uno spiedino realizzato con un gambero e i cubetti di verdura.

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Tartare di spada con riso venere, verdure croccanti e salsa ai peperoni arrosto e yogurt

by 46 Comments

Morbidezza sono le lenzuola di flanella, le orecchie del tuo cane, le nuvole che sembrano panna montata. Il sorriso di un bambino in metropolitana, un uomo che ti cede il passo tenendoti la porta, il piumone nelle prime notti d’inverno. La pelle dei neonati, i ricordi d’infanzia, il tocco delle mani di tua madre sui capelli.
Lo impari nel rapporto con gli altri, che qualche attenzione in più coltiva gli affetti meglio di qualsiasi fertilizzante, li rende sani e rigogliosi e gli consente di rifiorire costantemente. Mai uguali e sempre bellissimi. Sai anche che questa cura spesso non sarà ricambiata, ma ne vale ugualmente la pena: amare ti rende la vita morbida.
Lo impari dagli uomini, che accarezzare gli spigoli non piace quasi a nessuno.
E quando marito scherza con le tue costole non sa che, anche se sei in fissa con la magrezza, spesso hai invidiato qualche curva in più al posto giusto.
Lo hai imparato sul lavoro, che la rigidità non paga e gli atteggiamenti troppo spigolosi non si addicono alle persone intelligenti, solo a quelle frustate. E sole.
Che equilibrio, educazione e un approccio lucido e pacato risolvono già il 50% di qualsiasi problema.
E la durezza della vita non giustifica gli errori, nè le mancanze.
Papà e mamma da piccola ti davano della talebana: bianco o nero e non esistono vie di mezzo. Certo morbida non lo eri affatto, nè nei giudizi nè su quelle gambe da ragnetto. Che chi non ha il coraggio di prendere una posizione non ti è mai piaciuto nemmeno un pó.
E ironia della sorte, oggi ti trovi a volte a litigare con Lui, che fatica a concepire come qualcuno possa ritenere corretta l’idea opposta alla sua.
E tu ogni tanto gli scalpelleresti quella testa intelligente eppure così di pietra, che immediatamente ti ha conquistata, per smussarne un pó gli angoli.

Ma a suon di craniate, siete cresciuti e migliorati insieme. E il suo cuore, quello hai imparato come ammorbidirlo… o forse, è venuto tutto da sè e tu non hai dovuto fare proprio nulla.

 

Ingredienti (per due porzioni)
100 gr pesce spada freschissimo
200 gr riso venere
una piccola zucchina
una piccola carota
metà della scorza di un limone piccolo
un cucchiaino di salsa di soia
olio EVO
pepe multibacca
Per la salsa
4 filetti di peperone grigliato
un cucchiaio di yogurt bianco intero
un cucchiaio di olio EVO 
sale affumicato
pepe multibacca

Cuocere il riso venere mantenendolo al dente. Scolare e raffreddare sotto l’acqua, come per un’insalata di riso.
Grattuggiare molto finemente la zucchina e la carota, aggiungerle al riso insieme a un cucchiaio di olio EVO, le zeste di limone e un paio di pizzichi di sale (deve rimanere una base piuttosto neutra profumata dal limone).
Mentre il riso insaporisce, preparare la salsa: frullare i filetti di peperone grigliato, privati della pelle, con lo yogurt, l’olio, il sale e il pepe.
Tagliare a piccoli cubetti il pesce spada e condirlo con un cucchiaino d’olio, uno di salsa di soia e del pepe.
Comporre il piatto con l’aiuto di un coppapasta, formando una base di riso venere, aggiungendo la tartare in cima e un paio di cucchiai di salsa come decorazione del piatto.


 

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Pepite di merluzzo su vellutata di cavolfiore speziata

by 32 Comments

Non c’è niente di più vero e banale dell’apparenza che inganna.
Come quando ricevi un messaggio, ma non è di chi speravi.
Alzi la tapparella e al posto del solito buio mattuttino ti sorprende il candore della neve. 
Scopri che un amico ti tramava alle spalle.
Vedi qualcosa luccicare da lontano, sulle prime ne sei attratto ma avvicinandoti scopri che quel bagliore non illumina, acceca.
Trovi una banconota nella tasca di un vecchio cappotto.
Chiami “papà” per distrazione uno sconosciuto al supermercato.
Tornano di moda le scarpe a punta che hai sotto al letto da 15 anni.
Incontri qualcuno per caso, e subito con lui ti senti a casa.
Quante volte ci sorprendiamo, nel bene e nel male.
Per lungo tempo certe cose ti sembrano semplici ma sono solo ovvie. 
Pensi di averle appena scoperte e invece erano già tue, ma ora le hai comprese.
Come questo piatto, che a prima vista sembra uno sgarro alla dieta, fritto e immerso in una goduriosa salsa. Sembra ma non è.

 

Ingredienti:
per le pepite
400 gr merluzzo
due uova
pane secco grattuggiato
sale qb
per la vellutata
200 gr cimette di cavolfiore
una patata grande
olio EVO
paprika dolce
peperoncino
pepe in grani
sale aromatico (per me al rosmarino)

Sbattere le uova con un pizzico di sale.
Tagliare a bocconcini i filetti di merluzzo e passarli bene prima nell’uovo e poi nel pangrattato, facendo attenzione a ricoprire tutti i lati.
Adagiare in una teglia ricoperta di carta da forno, leggermente unta d’olio.
Per ottenere pepite più croccanti, aggiungere un filo d’olio in superficie e infornare per 20/25 minuti a 200 gradi, forno statico.
Nel frattempo, preparare la vellutata.
Lessare le cimette di cavolfiore e la patata a pezzetti.
Fare intiepidire e nel mixer, frullare con un paio di cucchiai d’olio EVO e aggiungere a piacere le spezie. Diluire la crema con qualche cucchiaio di acqua di cottura delle verdure o latte, fino a ottenere la consistenza desiderata.
Disporre nel piatto un letto di vellutata e adagiarci le pepite ben calde.

 

Filed Under: piatti unici, ricette, secondi Tagged With: pesce

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Cannella e Confetti

Margherita Daverio, alias Cannella e Confetti.
Classe '84, vivo a Milano e faccio la PR.
Per me cucina è carattere, brivido e poesia.
Sognatrice ad occhi aperti ed eccessiva negli affetti, vivo di istanti e di istinti.
Mi tengo stretta la famiglia, gli errori e i ricordi. Guardando sempre avanti, che la vita non si ferma. E tanto meno io.

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