Cannella e Confetti

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Farro con gamberoni, edamame, pomodorini e mandorle tostate

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Ah, l’estate. La stagione che rende bella anche la routine cittadina.
Svegliarsi con il cielo pieno di luce e innaffiare il basilico verde brillante.
Le passeggiate verso casa dopo il lavoro, quando il cielo è ancora chiaro e l’afa si è un pò dissolta.
Le cenette sul balcone al sesto piano con l’aria frizzantina, in coppia o con amici, davanti a un piatto fresco e un buon calice di vino bianco gelato.
Mai come durante i mesi estivi divento fan dei piatti conviviali, da preparare in anticipo e gustare freschi. Quelli che piacciono proprio a tutti, perfetti per godersi un momento easy in compagnia o per quelle sere in cui la voglia di stare ai fornelli proprio latita.
Le insalate di cereali sono uno dei miei must, meglio se impreziosite da ingredienti golosi e speciali.

Ingredienti
per 4 persone
240 gr di farro
20 pomodorini ciliegini
20 pomodori semisecchi sott’olio
500 gr di gamberoni argentini
2000 gr di edamame
60 gr mandorle
zeste di limone
olio EVO
sale e pepe qb
foglie di menta fresca

Lessare il farro in acqua salata per il tempo di cottura indicato. Scolarlo e passarlo sotto l’acqua fredda per fermarne la cottura. Lessare anche gli edamame.
Pulire i gamberoni eliminando i carapaci, le teste e gli intestini.
Tuffarli in acqua bollente un paio di minuti e scolarli.
Tagliare a pezzetti i pomodori secchi. Fare i pomodorini ciliegini in quattro, lasciarli scolare dal loro liquido di vegetazione e aggiungere entrambi i pomodori al farro. Aggiungere anche edamame e gamberoni ormai freddi.
Condire il tutto con sale, pepe, olio EVO e zeste di limone.
Tritare le mandorle in grossi pezzi e tostarle in un padellino antiaderente ben caldo, senza aggiungere grassi. Distribuirne la metà all’interno mescolando bene e usare quelle restante per la decorazione dei piatti insieme a qualche foglia di menta.

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Risotto leggero alle mele Golden e gorgonzola di capra

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Da bambina uno dei motivi per cui adoravo cenare a casa della nonna era l’immancabile tazza di latte al posto del primo (a cui premettevo un rosso uovo sbattuto con lo zucchero, giusto per un carico di energia supplementare, ma questa è un’altra storia).
Ripensandoci, la combinazione era decisamente per stomaci forti, o forse ero io molto meno delicata rispetto ad adesso. Anche solo pensare di ingurgitare un bicchiere di latte, ora, mi blocca la digestione. Sbarramento totale.
Prima dell’avvento delle alternative vegetali, su cui non apro parentesi per amor di sintesi, la soluzione per me era il latte di capra: più magro e digeribile rispetto a quello vaccino e con un alto contenuto di vitamine, una vera mano santa per il mio stomaco.
Anche per i derivati stesso discorso; dei formaggi in particolare sono diventata irrimediabilmente golosa.
Mentre mi aggiravo in cucina domenica mattina, ipnotizzata dall’aroma delle mele che si sprigionava dal cestino della frutta, ho deciso che il nostro pranzo della domenica avrebbe avuto quel profumo.
Un occhio al frigo, che a dirla tutta risentiva di una eco importante, ed ecco provvidenziale uno dei miei adorati formaggi di capra farmi l’occhiolino dall’ultimo ripiano.
Dati i bagordi della sera precedente ho optato per un risotto leggero, senza soffritto (quanto sono cambiata dai golosi e gloriosi – ma anche no – tempi di cui vi parlavo sopra) e senza grassi aggiunti.
La nota dolce e aromatica della mela bilancia quella più marcata del latte caprino rendendo il piatto morbido ed equilibrato.

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Ingredienti
per due/tre persone
brodo vegetale
due mele Golden Delicious Val Venosta
180 gr di riso Carnaroli
100 gr di gorgonzola di capra
40 gr di parmigiano reggiano
pepe
noce moscata
timo fresco
qualche spicchio di mela

Preparare il brodo vegetale mettendo in una pentola d’acqua fredda prezzemolo e alloro con le verdure sbucciate e tagliate a metà (per me sedano, carota, pomodoro e cipolla ma potete usare la verdura e gli aromi che preferite). Portare a bollore e lasciar cuocere per un’ora a fiamma moderata. Aggiustare di sale e filtrare il brodo.
Sbucciare le mele, tagliarle a pezzettoni e cuocerle a vapore – in pentola o a microonde – per qualche minuto, finchè saranno tenere. Frullarle con il minipimer fino a ottenere una salsa liscia e vellutata, aggiustare di pepe e noce moscata e tenere da parte.

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Tostare il riso sulla pentola calda, quando i chicchi saranno ben tostati iniziare a bagnare con il brodo caldo portando a cottura.
Un minuto prima di spegnere, aggiungere la salsa di mele e mescolare bene facendo evaporare eventuale umidità in eccesso.

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Fuori fuoco, aggiungere al riso il gorgonzola tagliato a pezzetti e il parmigiano grattuggiato fine. Chiudere la pentola con il coperchio e lasciare riposare un paio di minuti.
Mescolare il riso per mantecarlo, distribuirlo nei piatti decorando con qualche foglia di timo fresco e un paio di spicchi di mela.

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Questo post è offerto da Mela Val Venosta

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Pizzocheri Valtellinesi

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Io so di essere complicata. E non dolcemente, come cantava la Mannoia (onore al merito Fiorella, ci vuole classe anche nell’essere paraculi): complicata e basta.
Contorta, confusa, cerebrale. Un rebus.
Ho valanghe di turbe mentali, ardue da decifrare perfino per me stessa.
Sono un agglomerato di risposte taglienti poggiate su cumuli di fragilità.
Coniugo un disperato bisogno d’affetto con una tremenda, viscerale necessità di disporre dei miei spazi.
Se molli la presa mi scoraggio. Se la stringi troppo scappo.
Devi trovare il modo di tenermi con equilibrio. E devo tenermi in equilibrio io.

Ho pure un sacco di manie, come se non bastasse.
Quando non rifaccio il letto dormo male, le lenzuola stropicciate sotto la schiena mi fanno rigirare come un’anima in pena (tutta la mia solidarietà, principessa sul pisello… che quando mi raccontavano la tua fiaba, io commentavo sempre scioccata “che schifo“, non capendo esattamente la natura organolettica dell’intralcio che ti rendeva il sonno poco confortevole).
Non riesco a stare senza burrocacao, nemmeno se fuori ci sono 40 gradi.
Faccio smorfie molto più teatrali del voluto (e quando le rivedo in video è l’O-R-R-O-R-E).
Cammino sempre sullo stesso lato del marciapiede, non importa su quale sponda si trovi la mia destinazione.
Mi piace che tutto profumi di pulito e se tengo una t shirt addosso mezz’ora la butto subito in lavatrice (pardon Madre Terra, però recupero impostando i lavaggi eco).
Non ho ancora capito che non devo comprare le scarpe di Zara; neanche quando sono carine; nemmeno perchè costano poco; specialmente perchè costano poco.
Non tollero la visione di Forrest gump, piango in modo scrosciante fin dalle prime note della sigla. Lo stesso vale per Dumbo. E, cosa peggiore, mi addormento sempre sul più bello durante i film.

Però cucino.
In fondo, nell’economia di una vita insieme a me, mi sembra un’attenuante da non sottovalutare.

Pizzocheri valtellinesi

Per preparare dei pizzoccheri al bacio, ho seguito il metodo dell’Accademia del Pizzocchero di Teglio, adattando un pò le dosi alle mie preferenze: il risultato è stato cremoso ed equilibrato, davvero delizioso!
La variazione maggiore rispetto al mio solito procedimento è stato il non mescolare ma creare gli strati scolando direttamente verdure e pasta nella teglia e alternandole con il condimento.

Pizzocheri valtellinesi 2

Ingredienti
per 4 persone
320 gr pizzoccheri
una verza
due patate medie
100 gr di bitto
150 gr casera
125 gr Parmigiano
100 gr burro
due spicchi d’aglio
pepe nero

Pelare le patate e tagliarle a cubetti.
Pulire la verza staccando le foglie, sciacquandole sotto acqua corrente e privandole della costa centrale, poi tagliarle a pezzetti.
Riempire una pentola d’acqua, portarla a ebolizione e salarla, poi buttare le verdure.
Dopo 5 minuti di cottura, aggiungere anche i pizzoccheri e proseguire la cottura per 12 minuti.
Nel frattempo tagliare il formaggio a fettine sottilissime e poi a tocchetti e grattuggiare il Parmigiano. Far soffriggere il burro con l’aglio privato dell’anima.
Scolare i pizzoccheri in una teglia, pepare e aggiungere metà del formaggio in scaglie e un pò di Parmigiano; completare con un secondo strato di pizzoccheri, pepare e spolverare di Parmigiano e guarnire infine con il restante formaggio.
Versare uniformemente il burro fuso e servire senza mescolare.

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Gnocchi di patate con zucchine e pancetta affumicata

by 16 Comments

La curiosità è femmina, così si suol dire.
Beh, io la estenderei a caratteristica universale, senza subordini anagrafici o di genere; è un’attitudine radicata nell’essere umano, un istinto simile a quello di sopravvivenza (sebbene non altrettanto vitale, almeno non in senso stretto).
Di per sè, l’accezione non è necessariamente negativa, anzi; una persona curiosa è generalmente ricca d’animo e di sapere, con interessi poliedrici e un’attitudine straordinaria all’apprendimento.
Li ho sempre ammirati i curiosi, così disinvolti nel saltellare da una scoperta all’altra, capaci di non perdersi nemmeno un secondo di vita.

E’ triste constatare però quanto rapidamente e facilmente ogni caratteristica possa trasformarsi da dote a deficit. In questo caso, la mancanza è di riguardo.
Di discrezione. Di sensibilità. Di empatia. Di contatto con la realtà. Di umana compassione.
I “come va” maliziosi, l’interesse malsano, le insinuazioni indiscrete che faticano a celare la morbosità.
Le domande consapevolmente scomode, poste per maligno prurito più che per premuroso interesse; ignorando i fiumi di tristezza che possono smuovere, che di certo incalzeranno.
La curiosità qui si tramuta in una sorta di difetto di fabbrica, la sfaccettatura di un’evoluzione all’incontrario, un’indicazione stradale girata in senso opposto da un’irruente folata di vento.
Il bacio di una principessa che tramuta il principe in rospo e non viceversa.

A volte lo usiamo come termine di paragone, con egoismo, che tutto sommato ci fa sentire meno sfortunati.
Altre volte diventa semplicemente qualcosa a cui pensare per chi crucci non ne ha.
Ma badiamo, il dolore degli altri è qualcosa di terribilmente fragile.
E, come tale, andrebbe maneggiato con estrema cura.

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Per gli gnocchi
1 kg di patate
125 gr farina 00
un uovo intero
sale qb
Per il condimento
5 zucchine medie
una cipolla rossa dolce
250 gr di pancetta affumicata
4 cucchiai di olio EVO
Parmigiano Reggiano
sale e pepe qb

Lessare le patate con la buccia in acqua bollente, a seconda della dimensione della patata possono volerci 15-20 minuti.
Lasciar raffreddare, sbucciare e passarle nello schiacciapatate.
Aggiungere l’uovo, il sale e la farina a poco a poco, tenendo d’occhio la compattezza dell’impasto (potrebbe non essere necessario aggiungere tutta la farina).
Dividere l’impasto in filoncini, infarinarli leggermente e ricavarne dei rettangoli; dare quindi la forma agli gnocchi, facendoli scorrere con il polpastrello sui rebbi di una forchetta e premendo con il dito al centro, in modo che l’incavo possa poi contenere il sugo.

In una wok molto calda, far rosolare la pancetta; quando pronta, metterla da parte, lasciando il grasso di cottura nella padella. Aggiungervi l’olio e soffriggervi la cipolla tagliata molto finemente.
Aggiungere poi le zucchine grattuggiate e portare a cottura. A cottura ultimata, riaggiungere la pancetta tenuta da parte.

Tuffare delicatamente gli gnocchi in acqua bollente salata, in una pentola grande, senza mescolarli.
Scolare gli gnocchi non appena vengono a galla direttamente nella wok, il residuo di acqua di cottura amalgamerà bene il condimento. Mantecare fuori fuoco con una dose generosa di Parmigiano Reggiano grattuggiato al momento e servire.

I miei consigli per un’ottima riuscita degli gnocchi:

  • meglio usare patate a pasta bianca e “vecchie” ma senza germogli, devono essere il più possibile farinose e asciutte
  • per lo stesso motivo, quando le bollite lasciate loro la buccia, in modo che assorbano meno acqua possibile; meglio ancora se le cuocete a vapore
  • aggiungere la farina a poco a poco, solo se strettamente indispensabile; meno farina ci sarà nell’impasto e migliori saranno il sapore e la consistenza dei vostri gnocchi
  • lavorare il composto il meno possibile, per evitare che prenda troppa elasticità e risulti quindi colloso
  • la rigatura non ha solo funzione estetica, serve a raccogliere meglio il condimento sullo gnocco
  • se non condite subito gli gnocchi, una volta scolati passateli sotto l’acqua fredda
  • se volete congelarli, disponeteli su un vassoio per pasta infarinato, ben separati tra loro,e riponeteli in freezer; una volta congelati, per praticità, potete trasferirli in sacchetti per alimenti.

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Tagliatelle alla milanese per identità golose 2016

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Riempire cassetti, dispensa e scarpiere, farcire torte, imbottire valigie (non tanto all’andata quanto, lo confesso, al ritorno!), colmare attimi d’imbarazzo. Riempire è una delle mie capacità innate.
Questo vale anche per i weekend, in cui finisco per stipare con nonchalanche ognuna delle 48 ore con qualcosa da fare, in bilico perenne tra dovere e piacere.
Un traghetto verso dei lunedì in cui apro gli occhi sicuramente più stanca rispetto al venerdì ma anche parecchio, parecchissimo più felice.
Questa domenica ho avuto il privilegio di partecipare, grazie al network di cui faccio orgogliosamente parte (non ditemi che ancora non conoscete iFood!), a una sfida tra blogger sulla pasta fresca nello stand di Molino Quaglia, sponsor della prestigiosa manifestazione Identità golose.
Siccome io, chi mi legge lo sa, il mio posto da tifosa sta decisamente più nella curva del risotto che in quella della pastasciutta, ho deciso di portare nelle mie tagliatelle il sapore del primo piatto che preferisco in assoluto: il risotto alla milanese.
Complice la regola del poter condire la nostra pasta esclusivamente con burro e parmigiano, ho pensato che la combinazione con lo zafferano avrebbe evocato egregiamente uno degli aromi meneghini per antonomasia.

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Credit photo: Cristina Panizzuti – pane e acqua di Cristina

Ingredienti
100 gr farina Granpasta Molino Quaglia*
100 gr semola rimacinata
2 uova
una bustina di zafferano
sale qb
pepe qb

Setacciare le farine e creare una fontana; aggiungere al centro il sale, il pepe, lo zafferano.
Sgusciare, sempre al centro, le uova, e impastare con movimenti circolari delle dita per far assorbire la farina. Quando l’impasto da granuloso sarà sufficientemente corposo, iniziare a lavorare la pasta con il palmo della mano compattandola, su una spianatoia infarinata, allungando e poi ricompattando l’impasto continuamente per 5-10 minuti (potete osservare i movimenti su questo video).
La consistenza dovrà essere morbida ma non appiccicosa, elastica.
Creare una palla e far riposare la pasta in una ciotola coperta con un canovaccio per circa mezz’ora.
Riprendere l’impasto e staccarne un pezzo, lasciando il restante coperto; stenderlo leggermente con il mattarello infarinato e poi con la macchina per la pasta, facendo passare la pasta sul rullo (anch’esso spolverato di farina) ripiegata su se stessa 2 o 3 volte per tacca diminuendo gradualmente lo spessore.
Io mi sono fermata alla tacca numero 2, per ottenere una tagliatella un pò più corposa, se le preferite sottili proseguite fino all’ultimo degli spessori.
Creare le sfoglie e passarle nella macchina, questa volta nel rullo da tagliatella; non lasciar seccare troppo le sfoglie tra la stesura e il taglio, o la pasta si romperà.
Spolverare un vassoio con la semola e disporvi le tagliatelle.
In una pentola d’acqua bollente già salata, versare un goccio d’olio (utile per non far attaccare la pasta, ma si può anche omettere) e cuocere le tagliatelle per circa due minuti: la pasta sarà pronta non appena verrà a galla e creerà una schiuma.
Nel frattempo, sciogliere il burro in una padella, senza farlo friggere.
Scolare e ripassare in padella le tagliatelle. Mantecare con il parmigiano fuori fuoco e servire.

*Due parole sulla farina Granpasta: particolarmente adatta ai diversi formati di pasta della tradizione italiana, l’accurata scelta dei grani e l’esclusiva ricetta di miscelazione fanno ottenere un impasto sempre asciutto e trasferiscono al prodotto finito caratteristiche di lunga durata senza alterazione del gusto e, soprattutto, del colore. Per una pasta saporita, elastica, che tiene bene la cottura.

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Credit photo: Cristina Panizzuti – pane e acqua di Cristina

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Fregola con cicerchie e crema di ricotta e cicoria selvatica

by 38 Comments

Vintage, delle pulci, enogastronomico, dei filati, di Natale: i mercati sono la mia passione, nessuno escluso.
Va da sè che poco dopo la sua inaugurazione, a maggio 2015, ho voluto fare subito una puntatina anche a un mercato che più centrale di così non si può: il Mercato del Duomo.
Facendoci ritorno qualche sera fa, in una Milano frenetica e vestita di lucine di Natale a profusione, ho potuto visitarlo in chiave totalmente diversa, scoprendo perle che a una prima visita erano del tutto sfuggite.
Ho appreso per esempio che nella realizzazione di questo mercato, Autogrill ha potuto contare su un partner di eccellenza, l’Università degli studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo che da oltre 10 anni forma i gastronomi di domani: nuove figure professionali nel campo agro–alimentare, che possono contare su una profonda comprensione del cibo come valore e della sua funzione culturale all’interno della società.
La collaborazione è stata finalizzata alla messa a punto di una ristorazione e un commercio di qualità sostenibile, basata sul rispetto dell’ambiente e del territorio, che utilizzi materie prime e prodotti provenienti da un network di produttori locali accuratamente selezionati.
Io ho avuto il piacere di vivere un’esperienza d’acquisto speciale grazie alla compagnia di Giulia, che con competenza e tanta passione negli occhi mi ha illustrato alcune delle chicche selezionate per popolare gli scaffali; dalle noci verdi candite, che ho scoperto essere perfette in accompagnamento alla mie tanto amate tartare di manzo, fino alla fregola realizzata a mano da una signora sarda, sola tra le mura di casa.

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In questi giorni di festa fateci un salto, lasciatevi guidare tra gli scaffali e fatevi raccontare aneddoti preziosi.
Il mio preferito? La storia del grande ulivo di bronzo che troverete sospeso all’ingresso, ad accogliervi.
Non ve la svelo, lo spoiler rompe la magia.
C’è un mondo tutto da scoprire, ed è molto vicino.

(se siete goderecci come me, concedetevi un brindisi alle nuove scoperte con un calice di Berlucchi, nel lounge dedicato al 3° piano)

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Ingredienti
200 gr fregola sarda
100 gr cicerchie
100 gr ricotta
tre cucchiai di crema di cicoria selvatica
500 ml acqua
due carote
una patata
una cipolla
un finocchio
due foglie di alloro
sale e pepe

Pelare la patata e le carote, sbucciare la cipolla. Tagliare in due le carote e il finocchio, mondato dei gambi.
Porre tutte le verdure e l’alloro in una pentola piena di acqua fredda e poratre a ebollizione; lasciar cuocere a fuoco medio-basso per 45/60 minuti.
Filtrare il brodo e tenerlo da parte.
Lessare la fregola in acqua salata (la mia 10 minuti).
Comporre il piatto con un mestolo di brodo caldo, uno di fregola e tre cucchiai di cicerchie (le mie erano già lessate, al naturale).
Completare con un giro di olio EVO e una macinata di pepe.
Lavorare la ricotta con la crema di cicoria. Formare una quenelle con due cucchiai e disporla al centro del piatto.
Servire subito.

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Note
– brodo, fregola e legumi devono essere tiepidi e non bollenti, per consentire alla ricotta di non squagliarsi
– se non avete la crema di cicoria potete sostituirla con della rucola fresca frullata, oppure con del radicchio stufato e frullato (entrambi emulsionati con un pò d’olio).
– al posto della fregola, potete usare a piacere farro, orzo o riso integrale (adattando i tempi di cottura).

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Zuppa di cipolle

by 27 Comments

Alcuni dicono che l’anima gemella ti debba assomigliare.
Condividere passioni, sogni, progetti, obiettivi.
Vivere una quotidianità che sappia conciliarsi bene con la tua.
Altri sostengono che siano gli opposti ad attrarsi.
Un gioco di incastri che profumi un pò di lotta e un pò di sorpresa.
Un moto perpetuo di stimolo e vicendevole completamento.
Io penso che la metà della mela sia più semplicemente qualcuno i cui demoni sono compatibili con i tuoi.
Perchè, se così è, sarà in grado di comprenderli.
E forse non potrà proteggerti, quando si faranno troppo grandi.
Perchè la paura che fanno a te è la stessa che divora lei da dentro.
Però saprà esattamente da che lato mettersi, al fianco tuo, per tentare di affrontarli.

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Anche questo mese ho partecipato a una carinissima iniziativa di scambio ricette tra blogger, e non blogger qualsiasi ma quelle del gruppo del mio cuor: Le bloggalline.
La ricetta di oggi è quindi di Alessia e Tiziana, coppia sorridente del carinissimo Staffetta in cucina, con qualche piccola modifica dovuta all’eco della mia dispensa.

Ingredienti
due cipolle medie
50 gr di burro
1 litro d’acqua
un cucchiaino di farina (io fecola)
100 gr taleggio (in origine Leerdammer)
100 gr parmigiano reggiano
sale e pepe
pane casereccio a fette

Affettare le cipolle sottilmente.
In una casseruola, far fondere il burro e stufarvi le cipolle finchè non saranno bionde.
Aggiungere la farina/fecola e mescolare poi aggiungere l’acqua.
Far sobbollire a fuoco medio per 30 minuti, finchè la zuppa si sarà ristretta e risulterà cremosa.
Aggiustare di sale e pepe.
Nel frattempo tagliare a cubetti le fette di pane e farli tostare.
Formate uno strato sul fondo della pirofila con crostini e parmigiano grattuggiato, aggiungere la zuppa, qualche pezzetto di taleggio, altra zuppa e infine nuovamente crostini e parmigiano.
Servire caldissima.

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Jiaozi, ravioli fritti cinesi ripieni di carne

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Vi ho già parlato della Wellness, una farina di grano tenero di tipo 2 studiata da Cerealia ricchissima di fibre, che ne sfrutta i benefici tradizionali senza per questo compromettere il risultato finale della panificazione.
Questa farina mi aveva affascinata qualche mese fa: sperimentata in abbinamento ai profumi del cocco e del limone, per un dolcetto che annunciava il capolino della primavera, ne avevo potuto apprezzare il gusto stuzzicante e la deliziosa grana, leggera e per nulla condizionata dall’altissimo contenuto di fibra.
Oggi ho provato a utilizzarla per qualcosa di diverso dai più classici lievitati e, nella scelta della ricetta, mi sono anche concessa di andare sul corposo; in fondo iniziano le brezze serali e con loro il desiderio di mettere sotto ai denti qualcosa di più corroborante.

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Mi sono ispirata a una delle meraviglie che è possibile ammirare passeggiando attraverso il decumano di Expo a Milano, il coloratissimo padiglione fiorito della Cina.
Una struttura in bambù con un concept meraviglioso: come il contadino cura e protegge la sua terra, così chi lo abita deve custodire il proprio Pianeta. Mi piace questo concetto di un mondo sconfinato da curare con premura e dedizione, come se fosse il proprio orticello, un pò alla Candido di Voltaire.
Mi piace l’idea di un esercito di facce gentili, delle più diverse età e qualsiasi colore di pelle, che bagnano diligentemente un pezzetto di terra ciascuna con la consapevolezza che, insieme, è davvero possibile far diventare il pianeta un giardino rigoglioso e in salute.
Sono romantica e un pò illusa ma non ci posso fare niente, mi innamoro di immagini come questa. E sarei la prima a prendere un innaffiatoio in mano (anche se, più che verde, ho il pollice nero).
Ho scelto i ravioli cinesi fritti che, con quel loro ripieno profumato e saporito, trovo semplicemente perfetti per un happy hour di fine estate tra amici.

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Ingredienti:
per la pasta
250 gr farina di tipo 2
170 gr di acqua tiepida
5 gr lievito
un cucchiaio di olio di semi
per il ripieno
250 gr carne trita scelta di suino
due cipollotti
300 gr funghi pioppini
tre cucchiai di olio di semi
miscela delle 5 spezie cinesi (la trovate già pronta in qualsiasi alimentari etnico, consta di finocchio, anice stellato, pepe di Sichuan, cannella e chiodi di garofano)
peperoncino frantumato
salsa di soia (circa quattro cucchiai, più quella per servire)

Preparare la pasta setacciando la farina con il lievito, creando una fontana e versando al centro l’olio e, poco per volta, l’acqua tiepida. Le dosi di acqua e farina da utilizzare sono indicative in quanto ogni farina tende ad assorbire diversamente i liquidi. L’impasto sarà giusto quando resterà piuttosto sodo, tuttavia non duro nè appiccicoso.
Coprire la pasta con un telo e far lievitare almeno un’ora.
Nel frattempo, rosolare il cipollotto tagliato sottile (la parte bianca ma anche la prima parte verde) in una wok con l’olio ben caldo, aggiungere poi i pioppini tagliati a pezzetti e fargli rilasciare l’acqua di vegetazione. Circa 5 minuti dopo aggiungere la carne trita, ulteriormente sminuzzata in piccoli pezzi.
Aggiungere la salsa di soia, il peperoncino e le spezie e portare a cottura avendo cura di non far asciugare troppo il fondo. Lasciar intiepidire il ripieno.
Intanto, lavorare la pasta ricavandone degli gnocchetti grandi come noci, che con un mattarello su un piano infarinato andrete a stendere in dischi.
Riporre al centro di ciascun raviolo un cucchiaio di ripieno, chiudere prima a mezzaluna e poi con i polpastrelli creare meglio che potete delle pieghettine (a me sono venute malissimo!); sigillate bene la pasta in modo che il ripieno non esca mentre li cuocete.
Friggere in abbondante olio di semi, scolare su carta assorbente e servire caldi accompagnati da salsa di soia.

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Noodles di grano speziati con gamberoni e verdure

by 40 Comments

Il cambio degli armadi, l’organizzazione meticolosa del faldone delle bollette, l’inventario dello scaffale dei medicinali. E tutto questo senza i topini di Cenerentola in aiuto.
Ammettiamolo, compiti del genere attentano alla gioia di vivere, ma c’è di buono che li puoi alleggerire con il giusto sottofondo musicale e compiere, tutto sommato, con il pilota automatico inserito (che poi salti fuori, disinvoltamente sgargiante, un bikini dal plico delle sciarpe a dicembre, regalandoti un giro sulla giostra della nostalgia, è un’altra storia).
Mettere ordine tra pensieri ed emozioni, quella è operazione decisamente più complessa. Ho bisogno di qualche giorno in più per sistematizzare ricordi, editare fotografie che non ne avrebbero affatto bisogno e poter raccontare di quello che senza dubbio è stato uno dei viaggi più intensi e formativi che abbia mai compiuto.
Mi crogiolo tra lo stordito e il sognante, come svegliata da un lungo sonno di domenica mattina, in un inizio settembre che profuma di dejavù.
Mi rivedo nella scimmietta che, sciantosa fin da piccola, rimirava allo specchio i grembiulini nuovi per la scuola, certa che bianchi così non lo sarebbero stati più.
E, pure un bel pò maschiaccio, insisteva ad arpionare con un bastone più pesante di lei i fichi sul gigantesco albero in cortile dai nonni, facendone spiaccicare a terra la metà.
Inspiro il profumo di erba bagnata di quel primo giorno di Università sotto al diluvio e del bicchiere di bianco bevuto all’aperitivo. Il piccolo bar anni ’50 che, ospitando le prime sgangherate chiacchiere tra compagni in un inglese mechato dalle diverse madrelingue, si trasforma in un’alcolica e profana torre di Babele.
Tendo l’orecchio e sento i passi che ho percorso tremante sulla navata (teneramente illusa ignoravo che quelli più importanti li avrei compiuti tempo dopo e non da sola), seguiti da due sì che rieccheggiano commossi.
Sfoglio la vita con calma, assorbita in vecchi capitoli. E nel frattempo intravedo già, attraverso la filigrana, le righe della pagina successiva. Vibranti e sull’attenti, pronte a raccontare sempre un’altra storia.

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Ingredienti:
200 gr di noodles di grano
400 gr gamberoni
una zucchina grande
un peperone rosso
due carote
cipollotto fresco
peperoncino
paprika
salsa di soia
olio di semi
sale

Lessare i noodles in acqua bollente.
Tagliare le verdure a striscioline, cuocerle in una wok molto calda con poco olio di semi e il cipollotto tagliato sottile, mescolando continuamente a fuoco sostenuto (devono rimanere piuttosto compatte, basteranno pochi minuti).
Sgusciare i gamberoni e con l’aiuto di un coltellino incidere il dorso e sfilare il filamento nero dell’intestino.
Aggiungere i gamberoni nella wok insieme alle verdure. Spolverare con paprika e peperoncino, versare la salsa di soia e cuocere un paio di minuti.
Scolare i noodle direttamente nella wok, aggiustare di salsa di soia e far amalgamare bene il tutto per un minuto su fuoco medio.
Servire caldi.

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Spaghettoni A.O.P. con i canestrelli

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Parto con una stanchezza fisica e mentale superiore a quella degli altri viaggi. Sicuramente di natura diversa.
Credo non sia un caso che proprio quest’anno la scelta sia caduta su una meta spirituale e incontaminata (anche se l’approccio zen degli ultimi mesi temo mi stia facendo più male che bene; le cure universali non esistono e per me evidentemente è terapeutico incazzarmi, urlare, non far finta di nulla se molto c’è).
C’è bisogno di disintossicarsi un pò. Da dinamiche esasperanti, persone nocive, conti che non tornano, mal di stomaco decisamente psicosomatici.

E così, mentre riempio le valigie un oggetto alla volta, mi sembra che il peso diminuisca invece di aumentare.
Che quel carico che ho sulle spalle non mi ci sta in valigia. E non me ne dispiaccio.
Compongo capo dopo capo bagagli mastodontici, come da prassi.
Già traboccanti eppure pronti a riempirsi di ricordi.
Di certo, non di statuette segnatempo che cambiano colore con l’umidità, nè di agghiaccianti borse di tela fluo con la scritta I love Bali.
Vado a fare il pieno di sguardi profondi, profumi esotici e gentilezza.
Di cognizione del tempo persa e senso del dovere (il mio) al suo minimo storico.
I souvenir che preferisco si conservano nel cuore, non sulle mensole. Nè tantomeno diventano demodè la stagione successiva.
Ovvio che qualche accessorio e un paio di tessuti giusti comunque ci staranno, ben stipati negli angolini del bagaglio. A rimediare un pò alla mia clamorosa disfatta nei confronti dei saldi, che quest’anno avevo disamore perfino nel provare vestiti, tanto ero concentrata nel farlo con i sentimenti.
E per ironia della sorte entrambi, spesso, non mi cadono come vorrei.

Da ultimo, prima di chiudere il lucchetto, metto in valigia anche la consapevolezza che mi potrebbe capitare, di nuovo, di tornare da un viaggio talmente entusiasmante da instillarmi il pensiero che nessun altro potrà mai esserne all’altezza.
Quel tipo di soddisfazione un pò nostalgica che ti coglie quando ti rendi conto di aver divorato per primo il boccone più buono di tutto il piatto.
Ma la ricchezza di un mondo così meravigliosamente vario è che ogni centimetro calpestato sa essere diverso dall’altro, irrimediabilmente impareggiabile e straordinariamente unico.
Sa parlarmi in una lingua mai udita eppure tanto famigliare.
Sa appiccicarmi un nuovo, patinato, prezioso visto. Non sul passaporto, ma sul cuore.
Come con l’album di figurine dei calciatori, su cui con quel tipo di soddisfazione, pensavo sempre di aver attaccato l’ultima. Per poi scoprire che mancavano le più belle: le edizioni limitate.

spaghetti_canestrelli_1

Ingredienti
per due persone affamate
200 gr spaghettoni
300 gr canestrelli
vino bianco qb
aglio
sale
pepe
peperoncino frantumato
olio EVO

Lessare la pasta in abbondante acqua salata.
In una wok far rosolare uno spicchio d’aglio in un paio di cucchiai d’olio, eliminarlo e abbassare il fuoco. Aggiungere i canestrelli, peparli e cuocerli velocemente, sfumando con il vino bianco e alzando la fiamma per far evaporare. Come per tutti i frutti di mare, è consigliata una cottura di pochi minuti.
Scolare direttamente nella wok la pasta, ancora ben al dente, usando una pinza per spaghetti e completare la cottura un minuto in padella in modo che si insaporisca bene.
Completare con un paio di cucchiai d’olio a crudo e una spolverata di peperoncino.
Mescolare bene e servire calda.

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Cannella e Confetti

Margherita Daverio, alias Cannella e Confetti.
Classe '84, vivo a Milano e faccio la PR.
Per me cucina è carattere, brivido e poesia.
Sognatrice ad occhi aperti ed eccessiva negli affetti, vivo di istanti e di istinti.
Mi tengo stretta la famiglia, gli errori e i ricordi. Guardando sempre avanti, che la vita non si ferma. E tanto meno io.

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