Sto per dire una cosa forte, perciò preparatevi: la cucina di Yotam Ottolenghi, se la conosci la ami.
E’ uno di quei colpi di fulmine gastronomici a effetto sicuro, non c’è riparo dalla freccia del Cupido della cucina. Io me ne ero innamorata già “sulla carta” attraverso alcuni dei suoi libri; immaginate quindi il mio giubilo quando abbiamo pianificato di andare a Londra a provare il suo Rovi per un brunch domenicale.

L’ultimo (e settimo) locale aperto dallo chef nella capitale inglese nel quartiere centrale di Fitzrovia offre una cucina a tema “fermentation and cooking over fire”.
L’arredo è piuttosto informale, a dominare è il legno in abbinamento con il rosso; potrei azzardare a dire che per Ottolenghi il colore è veicolo di espressione, perché anche i suoi piatti sono caratterizzati da tinte piuttosto accese, sempre in armonia tra loro.
L’atmosfera è vivace, seppur meno conviviale rispetto a tutti gli altri ristoranti di Ottolenghi (più simili a dei buffet bar, con servizio). C’è in ogni caso un bel bancone bar al centro del locale, per un aperitivo o un after dinner.

Quello che particolarmente mi colpisce della sua cucina è la magistrale estrazione e sublimazione dei sapori delle verdure e non a caso, quindi, le portate che sia io che Fabio abbiamo apprezzato di più vedono proprio i vegetali come protagonisti indiscussi.
Passiamo quindi al sodo e largo ai piatti.
Mentre sfogliamo il menù ordiniamo due gin tonic: Tanqueray No.10 con mela e zenzero (da rifare obbligatoriamente a casa perchè era squisito!) e un Chapel Down, con uva e timo. Scegliamo due small plates, degli antipasti abbondanti: carciofi violetti con labne, olive, erbe aromatiche e fiocchi di peperoncino e rape con arance, rucola e acciughe.
Entrambi ci soddisfano ma le rape sono davvero qualcosa di squisito (e io normalmente non le mangio nemmeno sotto tortura). La bellezza della cucina di Ottolenghi è proprio questa: la capacità di riproporre gli ingredienti esaltandone i sapori in un abbinamento che risulta totalmente inedito e in grado di far apprezzare anche ingredienti normalmente poco graditi.

A seguire due large plates, per me dei gamberoni al curry con maionese al lemongrass, dal sapore molto thai, e per Fabio un signature dish del locale: congii, un porridge salato tipico di origine cinese, servito con carne di manzo brasata e daikon fermentato.
Anche in questo caso piatti ben realizzati e presentati ma mancava quella nota d’estro, quel tratto distintivo capace di renderli qualcosa di mai assaggiato prima trovata invece negli antipasti.


Prezzi assolutamente congrui per la qualità e per la media di Londra (8-15 £ gli small plates, 18-25 £ i large plates, 11-13 ” i cocktail).
Un ristorante in cui tornerei e tornerò senz’altro, magari a cena per indugiare in un doppio cocktail e deliziarmi attraverso un pasto tutto a base veggy.