Let’s wok, a domicilio
Uno dei veri lussi di essere una millenials, lo confesso, è poter contare su una delle invenzioni più rivoluzionarie per alleggerire/colorire/far svoltare la quotidianità: il delivery. Recentemente poi, grazie al proliferare di ecologici e spericolati fattorini in bicicletta (ma anche di vecchi Booster che su due ruote ormai ci stanno per scommessa) l’offerta si è ampliata rispetto alla dicotomia pizza VS cinese e, volendo, ci sarebbe da provare ogni sera qualcosa di diverso. Son sacrifici, eh.
Ho potuto così innamorarmi, come se la mia situazione sentimentale culinaria non fosse già sufficientemente popolata, di un nuovo concept speciale per una pausa pranzo gustosa e salutare o per una cena casalinga colorata, tutta birra e divano.
Let’s wok propone ingredienti di alta qualità, sapientemente mixati e cotti nella wok, la padella che non teme rivali in Oriente ed è ormai diffusissima anche da noi. E’ possibile scegliere tra sei combinazioni pensate dallo chef o destreggiarsi tra ingredienti e salse per confezionare il proprio cartoccio tailor made.
Io mi sentivo creativa e il mio riso integrale con salmone, verdure miste, germogli, anacardi, salsa di soia al miele e semi di sesamo mi ha talmente saziata e deliziata da convincermi subito a consigliarlo qui.
La colazione a letto
Ok, ok, faccio outing: anche io ho una perversione tra le lenzuola, come tutti.
La mia è senza dubbio mangiare a letto!
Piacere con il gusto del proibito che mi affascina fin da bambina, unica nota positiva di quando l’influenza mi metteva ko.
Certo, l’appetito era quel che era e il menù in piena linea con il mio status di “malata”, ma vogliamo mettere l’appeal acquisito da carote lesse e ricottina se servite dalla mamma su un bel vassoio (che lei alla mise en place ci tiene sempre) e gustate tra la comodità e il caldo del piumone?
Specialmente quando papà, intenerito, ci aggiungeva un paio di baci di dama. Del resto, lo sanno tutti che per guarire servono energie.
All’Università, vivendo da sola, penso di aver consumato sul letto la maggior parte dei miei pasti (anche perchè ero sprovvista di divano) che consistevano di solito in un trancio di pizza fredda o in grissini con il prosciutto crudo avvolto sopra; mi rendo conto, il grado di imbruttimento di queste immagini è notevole, ma se di confessione si tratta s’ha da essere sinceri fino in fondo.
Oggi il massimo che mi concedo è un espresso, rigorosamente amaro; eppure, sorseggiato tra le coperte, il mio caffè ha un che di eccezionale.
I panini di Pescaria
Ho già detto più volte che del vivere a Milano amo il costante fioccare di nuove aperture (e purtroppo in alcuni casi anche chiusure, ciao LadyBu ciao) tra cui destreggiarsi nel riempire le caselle di serate libere e weekend.
Poco sensibile al “così fan tutti”, nello scegliere i locali da provare normalmente faccio prevalere le vili ragioni del palato al puro essere di moda; perfino l’instagrammabilità è un criterio che trascuro spesso (e qui ne faccio pubblica ammenda) diffidendo da locali belli belli in modo assurdo ma che portano poca sostanza/ricerca nel piatto o investono scarsa attenzione/cortesia nel servizio.
Per fortuna, però, capita anche di uscire appagati da un posto forte sui social: per me è stato il caso di Pescaria, ristorante/paninoteca di pesce sbarcato al cospetto della Madunina da Polignano a Mare, sulla bocca (e le agende) di tutti da mesi.
Intendiamoci, non è tutto oro ciò che luccica: ho atteso, di lunedì sera, il mio panino per ben 50 minuti. Roba da calo glicemico, insomma.
Al primo morso di michetta, morbida e fragrante allo stesso tempo, farcita con spinacino, gamberoni al ghiaccio, pancetta Santoro croccante, chips e stracciatella – tuttavia – la vocina nel mio cervello non ha lasciato margini di contrattazione. “Tu qui ci tornerai“, intimava.
E infatti, ci sono tornata. E ci tornerò.
Il piatto quadro del Joia
Avete sempre pensato che i ristoranti stellati siano riservati solo alle occasioni super speciali (o ai portafogli parecchio imbottiti)?
Nein! Attraverso piccoli accorgimenti è possibile sperimentare l’alta cucina a prezzi low.
Io lo faccio spesso da Joia, il mausoleo milanese dell’arte culinaria vegetariana a firma di Pietro Leeman.
Nei giorni infrasettimanali, durante l’orario del pranzo, è possibile sedersi nella zona bistrot e scegliere tra le proposte del giorno (un antipasto, un primo e un secondo). I menu – che comprendono sempre un’insalatina di benvenuto, acqua e caffè – sono tre: bastano 12 euro per un piatto singolo, 14 per un piatto unico con due delle tre portate e 15 per un piatto unico con un assaggio di tutte e tre le portate.
Di categoria superiore, rimanendo sempre accessibile, l’opzione piatto quadro (un esempio in foto): 25 euro per quattro assaggi salati e uno dolce, con un’attenzione all’impiattamento che soddisfa la vista prima del palato.
Anche in queste occasioni lo chef si aggira per il locale e, se si è seduti nella sala in fondo al ristorante, è possibile osservarlo direttamente con le “mani in pasta” attraverso la cucina a vista.
Nuove scoperte: il ristorante Les Amis
Chiudo in bellezza raccontandovi del ristorante Mes Amis attraverso un’istantanea del suo meraviglioso carpaccio di branzino con carciofi, in cui freschezza e delicatezza si fondono per realizzare un piatto dagli equilibri perfetti.
La specialità del locale, nemmeno a dirlo, è la “pasta Mes Amis”: mezze maniche alla luganega sgrassata e tartufo, mantecate in una forma di parmigiano che viene fiammeggiata con alcool alimentare sotto gli occhi meravigliati degli ospiti.
In cucina lo chef abruzzese Antonio Linguini, che vanta un passato da allievo di Sergio Mei – executive chef dell’hotel Four Seasons di Milano – propone piatti di carne o pesce con un occhio alla convivialità: portate come la Chateaubriand o l’ossobuco consentono di riscoprire la bellezza di un piatto di portata che – nel dividersi tra i commensali – li unisce, sublimando la cena in un piacevole momento di scambio e condivisione.
Da riprovare presto, magari approfittando della futura aggiunta del dehors (che ci piace sempre tanto)!