Nella cucina della casa dove sono nata, sotto la finestra altissima dai serramenti antichi, c’era un lungo scalino di marmo. Un piccolo piedistallo che usavo per avvistare i pettirossi in giardino, che quelli – mi diceva la mamma – quando li vedi è perchè annunciano la neve.
Avevo capito che vale la pena di investire del tempo, con il naso incollato al vetro, in attesa di qualcosa che darà pace al cuore. E che ancor prima che quella pace ti raggiunga, a volte, qualcuno può farsene inconsapevolmente messaggero.
Vista la mia altezza contenuta, spesso e volentieri, lo impiegavo anche come scrittoio; seduta sulla mia minuscola seggiola di vimini, ritagliavo i vestiti di carta per Puffetta.
Ebbene, anche se ho sempre avuto una certa inclinazione fighetta, le cose con cui mi divertivo erano davvero le più essenziali. Sagomavo quegli abitini di mio pugno, che quelli inclusi sull’apposito libricino proprio non mi piacevano: troppo omologati, senza personalità.
Fin da piccola esigevo che il mio tempo fosse tratteggiato a mano libera, magari ottenendo un risultato un pò più sgangherato di quello standard, ma disegnato totalmente a modo mio.
E ho pianto, quando i miei genitori mi hanno annunciato un imminente trasloco, solo per lui. “Come farò senza il mio gradino?” piagnucolavo fliebile, con la frangetta dritta dritta e la tuta con le toppe sulle ginocchia.
Non avrei lasciato un luogo, ma la certezza di un’emozione gentile.
Quel gradino erano le pantofole del mio cuore sensibile, un comfort per l’anima irrinunciabile, un sentirsi al riparo e allo stesso tempo delicatamente padroni del mondo.
Nella casa nuova non ho trovato nessuno scalino e nemmeno in quelle che avrei abitato negli anni a venire.
Ma quel passo che mi faceva diventare grande e mi consentiva di guardare oltre il vetro dell’imponente finestra, avevo infine imparato a farlo; lo avevo appreso lì, aiutata da quei trenta centimetri di muro su cui mi arrampicavo ormai senza troppa fatica, mentre mamma preparava la cena alla luce calda del lampadario in vetro smaltato della cucina.
Così, quando devo sporgere la testa oltre qualcosa che mi sembra insormontabile come l’altezza di quella finestra, ripenso alla naturalezza con cui mi facevo aiutare dal mio fedele gradino.
E persevero nel cercare il mio prossimo trampolino, in questo nuovo spicchio di mondo.
La ricetta è della meravigliosa Anna, pubblicata su iFood, ho solo adattato le dosi alle dimensioni della a mia tortiera.
Ingredienti
per una teglia da 25 cm
450 gr farina 00
180 gr burro
150 gr zucchero semolato
8 gr lievito per dolci
mezzo limone, buccia
1 uovo
un pizzico di sale
una decina di fragole fresche
marmellata di fragole
Sciogliere il burro dolcemente, a bagnomaria o nel microonde.
In una ciotola unire farina, zucchero, lievito e sale, poi aggiungere l’uovo e il burro fuso raffreddato.
Lavorare con le mani strofinando il composto tra i palmi, in modo da ottenere un composto di briciole.
Foderare una tortiera, imburrata e infarinata, con un primo strato omogeneo di briciole (nota: io dovevo trasportare la torta perciò ho compattato un pò questa base con le dita, per essere certa che fosse meno delicata). Versarvi uno strato abbondante di marmellata e disporvi le fragole tagliate a fettine.
Ricoprire infine con le briciole restanti, strofinando sempre con le mani mentre le distribuite.
Infornare a 180° per 40 minuti. Lasciar raffreddare e sformare la torta.
A piacere, spolverare con zucchero a velo prima di servire.