Cannella e Confetti

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Archives for Settembre 2015

Cheesecake al miele e pesche noci, in vasetto

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Angelica ha la diffidenza di chi è stata ferita e non permetterà a niente e nessuno di farla soffrire di nuovo.
Di chi ha chiuso a chiave il cuore, ignorando che il male è rachitico per la cattiveria e passa anche attraverso la serratura, mentre il bene è paffuto di benessere e così rischia di murargli l’ingresso per sempre.
Angelica si estrania dal resto, tra il ronzio silenzioso delle sue api.
Ci vuole una bella dose di concentrazione, per barricarsi dal mondo.
Quando l’animo è in tumulto, io difficilmente parlo.
Mi arrovello in silenzio, le urla restano nel cuore.
A guardar bene, è osservandomi in cucina che si capisce come sto.
Tra quelle quattro mura, più piccine di quanto le vorrei, mi isolo da tutti e sono IO.
Non ho presente che ferisca, fantasmi del passato, paure per il futuro.
Come Angelica si dedica alle sue api, nel conforto di ciò che – potrebbe metterci la mano sul fuoco – conosce. Che non cambierà. Che non la deluderà mai.

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La ricetta è ispirata al nuovo romanzo di Cristina Caboni, La custode del miele e delle api, in libreria dal 17 settembre. Un libro scritto a tutto cuore, di cui ho avuto il piacere di ricevere una copia in anteprima.
Questo è un dolce leggero, fresco e senza cottura che lascia spazio all’ingrediente che lo impreziosisce: il miele millefiori. L’aroma mai scontato, perchè mai uguale di vasetto in vasetto, si unisce alla certezza della sua nota dolce e consolatoria.

Ingredienti
per due monoporzioni
5 biscotti digestive
250 gr ricotta fresca
4 cucchiai di miele millefiori
una pesca noce soda
qualche goccia di succo di limone

Sbriciolare i biscotti, unire due cucchiai di miele e mescolare bene.
Disporre sul fondo del bicchiere, premendo con cura.
Far riposare almeno mezz’ora in frigorifero in modo che si compatti bene.
Setacciare la ricotta e lavorarla con il miele restante usando una piccola frusta, in modo che il composto diventi soffice, spumoso.
Trasferirlo in una sac-à-poche e riempire i bicchieri, poi riporli in frigorifero per ancora mezz’ora almeno.
Tagliare a cubetti la pesca, bagnarli con un pochino d’acqua emulsionata con qualche goccia di succo di limone, per far sì che non anneriscano.
Disporli in cima al dolce e servire.

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Al caseificio Coduro con Parmigiano Reggiano

by 22 Comments

Sarà che il mio personaggio preferito dei cartoni animati, da bambina, era il topino Fievel.
Sarà il fatto che ogni focolare domestico – casa mia, quella dei nonni e soprattutto quella degli zii (era la loro bomboniera di nozze) – all’ora dei pasti poggiava sulla tavola lo stesso identico oggetto, una grattugia gialla che per me faceva immediatamente famiglia.
Sarà che il minestrone lo mangiavo se e solo se poi potevo avere il pezzo di crosta ammollata in cottura.
Comunque stiano le cose, io per il Parmigiano ho da sempre un’autentica predilezione.
Va da sè che quando mi è stato proposto di partecipare a un blog tour organizzato da Parmigiano Reggiano in uno dei caseifici principali di Fidenza, la reazione sia stata incontenibile entusiasmo e occhi a cuoricino.

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La giornata inizia presto al caseificio, con l’arrivo del camioncino del latte. La mungitura della mattina stessa sarà miscelata con la scrematura ottenuta dal latte della sera prima, fatto riposare in grandi vasche di metallo per permettere alla panna di affiorare in superficie.
Le prime fasi della lavorazione avvengono in grandi cisterne di rame, ottimo conduttore di calore, in cui il latte viene scaldato e addizionato di siero innesto e caglio.
Quando il latte assumme la giusta consistenza, la cagliata viene rotta in granuli con un apposito attrezzo chiamato spino; la dimensione dei granuli è a discrezione del casaro, frutto di un’autentico sapere maturato con l’esperienza.
Dopo le fasi di cottura e sedimentazione, il formaggio viene raccolto in tele di canapa e fatto riposare nelle forme, insieme alla propria personale placca di caseina.
Dopo un primo riposo di 48 ore, si passa alla salatura in salamoia e poi alla vera e propria (lunga) stagionatura. Se il test della battitura darà il risultato sperato si procederà alla fase della marchiatura, e “l’investitura” della forma sarà completa.

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Durante la visita, scopro un motivo di fascino in più in questo prodotto che da sempre amo e consumo.
Lo trovo nelle mani del giovane casaro, che solleva 50 kg come fossero noccioline e sorride raccontandoci che in fondo, lui, “deve ancora imparare“.
Lo scorgo negli occhi di Igino che ci parla della nascita e della crescita di ciascuna forma come racconterebbe i progressi motori di un figlio.
E’ bella l’aria che si respira qui, e non è solo merito degli aromi del latte.

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Un formaggio legato al territorio, naturale, artigianale, riconoscibile, garantito.
Parlando di questa eccellenza italiana, dare i numeri è cosa buona giusta!
Sono 363 i caseifici di Parmigiano Reggiano. In un anno, producono complessivamente 3.297.723 forme.
Il caseificio Coduro, che ci ha deliziosamente ospitati, ne produce circa 18 al giorno.
Il peso medio di una forma, a stagionatura completa, è di 40 kg, originati da ben 550 litri di latte.
Sono invece a zero sia gli insilati (i foraggi fermentati nell’alimentazione degli animali), sia gli additivi e i conservanti. Il disciplinare è rigido e non si scherza.
Stesse regole ferree per la stagionatura: quella minima prevede un riposo di 12 mesi, per una media di 24. Ma vorrei sapervi descrivere che consistenza e che sapore tostato spettacolare ha quello di 36 (non per nulla, oltre i 30 mesi, la forma si guadagna il bollino d’oro).

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Come degna conclusione lo chef Massimo Spigaroli ci ha dedicato il suo tempo illustrandoci, all’interno della cucina del proprio Bistrot nella splendida cornice del del Labirinto di Franco Maria Ricci, alcune ricette preparate con ingredienti della tradizione del territorio: primo su tutti, logicamente, il Parmigiano Reggiano, ma anche il Culatello, il suino nero e l’uva Termalina – una vera rarità – per poi concludere con un pranzo di ristoro, chiacchiere e delizia.

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Ringrazio Parmigiano Reggiano, Igino, Giulia, il caseificio Coduro, lo chef Massimo Spigaroli e il suo Labirinto della Masone che con generosità, impegno (e pazienza!) ci hanno consentito di vivere insieme una bellissima esperienza.

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Consiglio di cuore l’esperienza dei Caseifici aperti, che si terrà sabato 3 e domenica 4 ottobre: sarà possibile visitare lo storico casellino, conoscere i caseifici presenti, degustare il Parmigiano Reggiano e fare un viaggio nel tempo grazie alla mostra degli attrezzi storici. In entrambe le giornate diverse le attività di animazione per bambini e sempre presenti stand gastronomici con gnocco fritto, salumi e birra.

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Filed Under: ricette

Bali 2015 – La vita in un’isola

by 35 Comments

Una vacanza vissuta senza trucco e senza tacchi. Oggettivamente, la mia prima volta.
Ma del resto, in un luogo in cui ci si fa belle con vestiti colorati e fiori tra i capelli, qualsiasi artificio suonerebbe terribilmente stonato.
Il tentativo fallito di preservare la stiratura dei capi in valigia (dopo anni mi sono convinta di provare il metodo degli abiti arrotolati su se stessi, rivelatosi un drastico buco nell’acqua: non ho mai avuto addosso qualcosa che assomigliasse più a uno straccio da pavimenti, ve possino…) è risultato quasi profetico di quindici giorni all’insegna dell’abbandono di ogni imbellettamento, in cui paradossalmente mi sono sentita più bella.

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Fin dai primi passi posati sull’isola, ho avuto l’impressione di varcare una soglia.
Basta davvero scendere da un volo di 17 ore per soffiare via la polvere dagli occhi (e un pò dal cuore)?
Quel gesto istintivo, stropicciare le palpebre e sorprenderti per ciò che è semplice.
Accorgerti di non desiderare nulla di più.
Ecco, forse questa è la cosa che in assoluto mi è riuscita peggio negli ultimi mesi.
Ironia della sorte, la primissima cosa che ho notato di Bali sono appunto i suoi usci, così eleganti e delicati da intimorirne il sorpasso. E in questa cosa ho trovato un senso metaforico sorprendente.
La cura che ciascuno ha del proprio ingresso, poco importa che sia domestico o di lavoro, compie un percorso che nasce da porte smaltate lucide e colorate, si snoda passando attraverso un’accurata attività di pulizia e culmina presto ogni mattina in un abbellimento che avviene tramite variopinte ciotole di foglie di palma, riempite di dolciumi, fiori e frutta fresca.
E nonostante questo gesto nasca dal desiderio di compiere offerta verso le divinità, ho compreso che per i balinesi non è soltanto un gesto di lusinga verso la loro trinità, nè tanto meno un semplice biglietto da visita nei confronti della collettività.
Anche qui, passo indietro verso un motivo infinitamente più semplice.
Compiere un gesto grazioso rende il bilancio della tua giornata immediatamente migliore.

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Da quei cestini ho inconsapevolmente appreso anche un’altra lezione.
Incuriosita dalla nonchalance con cui vengono lasciati alla mercè del passaggio di chiunque, dal turista distratto (non voglio pensare semplicemente irrispettoso) al cane in cerca del pranzo, ho chiesto se non fosse motivo di turbamento la quasi matematica distruzione di offerte preparate con tanta diligenza e sentimento.
Mi è stato risposto in modo talmente sereno e ovvio che mi sono sentita davvero stupida per la domanda.
L’importante è l’intenzione, se è sincera.
L’offerta materiale è solo un simulacro.
Quanto mi aggrappo io agli oggetti per me preziosi, capaci di farmi ridere e piangere solo guardandoli?
Per non parlare di quanto a spada tratta penso sempre di dover proteggere i miei reali buoni propositi!
Anche le cose in cui hai messo tanto cuore a volte vanno lasciate andare.
L’intenzione vale più del gesto, nessuno può rovinarla o rubarla.
Non deve diventare sofferenza. Non è un dramma. Ama e lascia andare.

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Un’altra cosa che evidentemente avevo bisogno di volare dall’altra parte del mondo per (ri)scoprire e apprezzare, in quel modo che ne rende poi soffocante la mancanza, è il senso della collettività.
Una mattina, molto presto, siamo rimasti incantati ad osservare una scolaresca in uniforme, deliziosamente assonnata, che camminava in fila indiana sul ciglio della strada. Ogni bimbo stringeva tra le piccole dita una minuscola scopa di saggina, assemblata alla bell’e meglio.
Il giorno dopo abbiamo ammirato la stessa allegra carovana, questa volta armata di piccoli secchielli.
Ancora vittima della mia notoria curiosità, ho domandato spiegazioni.
A Bali lo stato non si occupa della scuola, lo fanno gli alunni. Un giorno puliscono i propri banchi, l’altro innaffiano le piante del cortile, provate dal gran caldo della stagione secca.
Ognuno fa la propria parte, perchè solo così tutto può essere fatto bene. E lo si impara da subito, prima che prevalgano gli egoismi.

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Da ultimo, mi porto a casa una parola.
Parlando di una località in cui sarei assolutamente voluta andare, la guida mi ha chiesto se sapessi cosa significava quel nome, nella antica lingua sanscrita. La risposta era un compendio di novità, straordinarietà e bellezza: meraviglioso.
Meraviglia è la mia parola preferita, da quando ho 5 anni.
Qualcosa di troppo stupefacente per essere descritto, qualcosa in cui quasi fai fatica a credere.
Quel guizzo che, se custodito nel proprio sguardo, consente di percepire il bello di tutte le cose.
Di vivere il quotidiano in un modo sempre nuovo.
Di guardare chi ami stupendoti ancora dei suoi dettagli anatomici come della sua bellezza interiore.
Quella parola me la voglio imprimere, inchiostro sulla pelle.
Quella parola è tutto ciò che voglio nella vita, per me.

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Filed Under: ricette Tagged With: bali, estate, viaggi

Jiaozi, ravioli fritti cinesi ripieni di carne

by 30 Comments

Vi ho già parlato della Wellness, una farina di grano tenero di tipo 2 studiata da Cerealia ricchissima di fibre, che ne sfrutta i benefici tradizionali senza per questo compromettere il risultato finale della panificazione.
Questa farina mi aveva affascinata qualche mese fa: sperimentata in abbinamento ai profumi del cocco e del limone, per un dolcetto che annunciava il capolino della primavera, ne avevo potuto apprezzare il gusto stuzzicante e la deliziosa grana, leggera e per nulla condizionata dall’altissimo contenuto di fibra.
Oggi ho provato a utilizzarla per qualcosa di diverso dai più classici lievitati e, nella scelta della ricetta, mi sono anche concessa di andare sul corposo; in fondo iniziano le brezze serali e con loro il desiderio di mettere sotto ai denti qualcosa di più corroborante.

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Mi sono ispirata a una delle meraviglie che è possibile ammirare passeggiando attraverso il decumano di Expo a Milano, il coloratissimo padiglione fiorito della Cina.
Una struttura in bambù con un concept meraviglioso: come il contadino cura e protegge la sua terra, così chi lo abita deve custodire il proprio Pianeta. Mi piace questo concetto di un mondo sconfinato da curare con premura e dedizione, come se fosse il proprio orticello, un pò alla Candido di Voltaire.
Mi piace l’idea di un esercito di facce gentili, delle più diverse età e qualsiasi colore di pelle, che bagnano diligentemente un pezzetto di terra ciascuna con la consapevolezza che, insieme, è davvero possibile far diventare il pianeta un giardino rigoglioso e in salute.
Sono romantica e un pò illusa ma non ci posso fare niente, mi innamoro di immagini come questa. E sarei la prima a prendere un innaffiatoio in mano (anche se, più che verde, ho il pollice nero).
Ho scelto i ravioli cinesi fritti che, con quel loro ripieno profumato e saporito, trovo semplicemente perfetti per un happy hour di fine estate tra amici.

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Ingredienti:
per la pasta
250 gr farina di tipo 2
170 gr di acqua tiepida
5 gr lievito
un cucchiaio di olio di semi
per il ripieno
250 gr carne trita scelta di suino
due cipollotti
300 gr funghi pioppini
tre cucchiai di olio di semi
miscela delle 5 spezie cinesi (la trovate già pronta in qualsiasi alimentari etnico, consta di finocchio, anice stellato, pepe di Sichuan, cannella e chiodi di garofano)
peperoncino frantumato
salsa di soia (circa quattro cucchiai, più quella per servire)

Preparare la pasta setacciando la farina con il lievito, creando una fontana e versando al centro l’olio e, poco per volta, l’acqua tiepida. Le dosi di acqua e farina da utilizzare sono indicative in quanto ogni farina tende ad assorbire diversamente i liquidi. L’impasto sarà giusto quando resterà piuttosto sodo, tuttavia non duro nè appiccicoso.
Coprire la pasta con un telo e far lievitare almeno un’ora.
Nel frattempo, rosolare il cipollotto tagliato sottile (la parte bianca ma anche la prima parte verde) in una wok con l’olio ben caldo, aggiungere poi i pioppini tagliati a pezzetti e fargli rilasciare l’acqua di vegetazione. Circa 5 minuti dopo aggiungere la carne trita, ulteriormente sminuzzata in piccoli pezzi.
Aggiungere la salsa di soia, il peperoncino e le spezie e portare a cottura avendo cura di non far asciugare troppo il fondo. Lasciar intiepidire il ripieno.
Intanto, lavorare la pasta ricavandone degli gnocchetti grandi come noci, che con un mattarello su un piano infarinato andrete a stendere in dischi.
Riporre al centro di ciascun raviolo un cucchiaio di ripieno, chiudere prima a mezzaluna e poi con i polpastrelli creare meglio che potete delle pieghettine (a me sono venute malissimo!); sigillate bene la pasta in modo che il ripieno non esca mentre li cuocete.
Friggere in abbondante olio di semi, scolare su carta assorbente e servire caldi accompagnati da salsa di soia.

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Filed Under: finger food, piatti unici, primi, ricette Tagged With: etnico

Noodles di grano speziati con gamberoni e verdure

by 40 Comments

Il cambio degli armadi, l’organizzazione meticolosa del faldone delle bollette, l’inventario dello scaffale dei medicinali. E tutto questo senza i topini di Cenerentola in aiuto.
Ammettiamolo, compiti del genere attentano alla gioia di vivere, ma c’è di buono che li puoi alleggerire con il giusto sottofondo musicale e compiere, tutto sommato, con il pilota automatico inserito (che poi salti fuori, disinvoltamente sgargiante, un bikini dal plico delle sciarpe a dicembre, regalandoti un giro sulla giostra della nostalgia, è un’altra storia).
Mettere ordine tra pensieri ed emozioni, quella è operazione decisamente più complessa. Ho bisogno di qualche giorno in più per sistematizzare ricordi, editare fotografie che non ne avrebbero affatto bisogno e poter raccontare di quello che senza dubbio è stato uno dei viaggi più intensi e formativi che abbia mai compiuto.
Mi crogiolo tra lo stordito e il sognante, come svegliata da un lungo sonno di domenica mattina, in un inizio settembre che profuma di dejavù.
Mi rivedo nella scimmietta che, sciantosa fin da piccola, rimirava allo specchio i grembiulini nuovi per la scuola, certa che bianchi così non lo sarebbero stati più.
E, pure un bel pò maschiaccio, insisteva ad arpionare con un bastone più pesante di lei i fichi sul gigantesco albero in cortile dai nonni, facendone spiaccicare a terra la metà.
Inspiro il profumo di erba bagnata di quel primo giorno di Università sotto al diluvio e del bicchiere di bianco bevuto all’aperitivo. Il piccolo bar anni ’50 che, ospitando le prime sgangherate chiacchiere tra compagni in un inglese mechato dalle diverse madrelingue, si trasforma in un’alcolica e profana torre di Babele.
Tendo l’orecchio e sento i passi che ho percorso tremante sulla navata (teneramente illusa ignoravo che quelli più importanti li avrei compiuti tempo dopo e non da sola), seguiti da due sì che rieccheggiano commossi.
Sfoglio la vita con calma, assorbita in vecchi capitoli. E nel frattempo intravedo già, attraverso la filigrana, le righe della pagina successiva. Vibranti e sull’attenti, pronte a raccontare sempre un’altra storia.

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Ingredienti:
200 gr di noodles di grano
400 gr gamberoni
una zucchina grande
un peperone rosso
due carote
cipollotto fresco
peperoncino
paprika
salsa di soia
olio di semi
sale

Lessare i noodles in acqua bollente.
Tagliare le verdure a striscioline, cuocerle in una wok molto calda con poco olio di semi e il cipollotto tagliato sottile, mescolando continuamente a fuoco sostenuto (devono rimanere piuttosto compatte, basteranno pochi minuti).
Sgusciare i gamberoni e con l’aiuto di un coltellino incidere il dorso e sfilare il filamento nero dell’intestino.
Aggiungere i gamberoni nella wok insieme alle verdure. Spolverare con paprika e peperoncino, versare la salsa di soia e cuocere un paio di minuti.
Scolare i noodle direttamente nella wok, aggiustare di salsa di soia e far amalgamare bene il tutto per un minuto su fuoco medio.
Servire caldi.

Filed Under: piatti unici, primi, ricette Tagged With: etnico, gamberi, pesce, ricette veloci

Cannella e Confetti

Margherita Daverio, alias Cannella e Confetti.
Classe '84, vivo a Milano e faccio la PR.
Per me cucina è carattere, brivido e poesia.
Sognatrice ad occhi aperti ed eccessiva negli affetti, vivo di istanti e di istinti.
Mi tengo stretta la famiglia, gli errori e i ricordi. Guardando sempre avanti, che la vita non si ferma. E tanto meno io.

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