Arranco verso l’ufficio, come sempre sul filo dell’orario, che la mattina è una lotta contro il tempo.
Generalmente, durante la corsa stile ultimo minuto, sul mio marciapiede si piazza l’indeciso, il gruppo di turisti in brainstorming con giga-cartina, la coppia dita incollate e passo due all’ora. E io in cuor mio sbuffo perché, chiaro, si tratta di secondi fondamentali (demone del milanese imbruttito esci da questo corpo).
Stamattina no. Il mio “ostacolo” mi strappa un sorriso.
Sono io a rallentare, per godermi lo spettacolo qualche istante di più. Come quando al cinema resto incollata alla poltrona durante i titoli di coda, perché la magia in cui mi ha traghettata il grande schermo non sono ancora pronta a lasciarla andare.
E non sono solo quei deliziosi stivaletti di gomma e quell’ombrellino, che tanto somiglia a quello rosa con le caramelle che usavo da piccola, a ipnotizzarmi.
Sono catapultata indietro nel tempo, con dolce violenza.
Frastornata di emozione fisso quella prima manina stretta nella presa delicata delle dita della mamma. L’altra, salda in quella forte del papà.
La frugolina saltella con la spensieratezza di chi ha visto solo il nuovo della vita e tanto ancora ha da scoprire.
Di chi le lacrime le ha versate solo per le sbucciature alle ginocchia. Di chi di più ha dovuto desiderare soltanto la terza caramella gommosa (no mamma, non mi fa venire il mal di pancia).
Stringo i pugni anch’io. Le risento lì, queste mani con le unghie smaltate di viola, dov’erano 25 anni prima.
Quante volte me le hanno strette i miei.
Per rendere più saldi i primi passi, come un uccellino traballante che spicca il volo dal nido. E allo stesso tempo per insegnarmi come si faceva a cadere senza farsi troppo male (di tutte, forse la lezione più importante, perchè nessuno è infallibile).
Per camminare più veloce, quando il passo era ancora troppo incerto e da sola non ce la facevo. Avevo disperatamente bisogno di quella marcia in più, quell’optional super esclusivo chiamato fiducia.
Per spiccare il balzo dondolando, felice, sentendomi al sicuro. Come facevo da bambina, appesa a quelle braccia come a due liane. Mi sentivo invincibile, saltavo con tanta facilità.
Nella camera d’ospedale in cui sono nata, le dita di papà mi hanno afferrata per i piedi, mentre con l’altra mano si attaccava al campanello (signora stia tranquilla, stanotte non nasce).
Nel corridoio dell’Università, mia mamma me le stringeva aspettando il mio turno per la tesi di laurea.
Per combattere la paura che, più di tutto, era quella di deludere la famiglia al completo che era venuta fino a lì per me. E lei lo sapeva, anche se non gliel’avevo detto.
In macchina, fermi a un interminabile semaforo davanti alla chiesa, era così salda e sicura la stretta di mio papà, il giorno del mio matrimonio. Niente panico, ci sono e ci sarò.
Sulla barella in corridoio, l’anno scorso, nel breve tragitto per l’ascensore che mi avrebbe portata in sala operatoria. Tutta la rassicurazione del mondo stava in quell’ultima, delicata, carezza di mia mamma.
Che non importa quanti anni hai, c’è un supporto a cui è impossibile rinunciare. Geneticamente ne hai bisogno. Lo senti nelle vene: sarai sorretta, sempre.
Le loro mani in ogni circostanza hanno saputo farti trovare il coraggio necessario. Quello che alla fine è dentro di te, dove lo cercavi. E quei due lo sanno, perchè ce lo hanno messo loro.
NB. Ho preparato questo riso per Fabio, una sera che non sarei tornata a cena: dato che già gli limito la tanto adorata pasta a favore di cereali più sani e leggeri, ho concesso un condimento dal gusto più deciso 😉
Ingredienti (per due persone)
125 gr di riso basmati
una fetta spessa di speck (80-100 gr)
una manciata di favette piccole
pepe multibacca
olio EVO
Bollire il riso basmati secondo le indicazioni di cottura specifiche in acqua salata; far raffreddare sotto l’acqua corrente e condire con un filo d’olio, per evitare che i chicchi si attacchino.
Tagliare lo speck a striscioline, far scaldare un padellino antiaderente e cuocerle un paio di minuti, perchè diventi croccante quanto basta. Far raffreddare, poi unirlo al riso e alle favette (devono essere quelle piccole piccole, adatte al consumo da crude senza essere sbucciate).
Aggiungere pepe a piacere, ricotta salata grattuggiata e un goccio d’olio.
Servire a temperatura ambiente o freddo.